domenica 14 febbraio 2016

Dialogo con un'amica



Si proponga, ora, un breve dialogo con Lidia, una mia amica, amante della Filosofia.

LIDIA

Sapessi quanto leggo i tuoi libri e quanto mi stupiscono sempre piacevolmente. E' come ascoltare una sinfonia, le tue parole mi infondono una soave calma e penso al cerchio del mio finito che si chiude per nascere in quello infinito dell'eterno. E ci credo!
Sembra qualcosa di bello!

MARCO

Ciao Lidia.

Non è corretto ciò che hai scritto a riguardo del cerchio finito e di quello infinito. Tu sei già, anche ora, il cerchio infinito di luce, che però rimane prevalentemente un inconscio rispetto al tuo esser anche il cerchio finito a cui tu e solo tu (in quanto individuo) appartieni.

Tu sei qualcosa, cioè sei cosciente di qualcosa, cioè vedi qualcosa. Lo vedi, indipendentemente dal fatto che tu dorma, o che tu chiuda gli occhi durante la cosiddetta "veglia" (in cui si sogna in verità molto di più di quanto non avvenga durante il cosiddetto "sonno"). Questo tuo vedere qualcosa è il senso assoluto del vedere cioè dell'essere. Assoluto, cioè nel senso che non è soltanto "tuo", ma è anche "mio" e quello di "ognuno" che veda qualcosa.
Il problema è che questo vedere assoluto, che è la luce infinita che illumina ogni colore (cioè ogni diversità coscienziale), non prende ancora spicco sui colori da esso inclusi, bensì prendono spicco i colori, uno dopo l'altro, giacché ci si illude che ci siano soltanto i colori.
Questo problema ha già da sempre una soluzione. Il prevalere di questo problema lo chiamo "la Prima Volta", mentre il prevalere della sua soluzione eterna lo chiamo "il Ritorno". Siamo destinati al Ritorno, in cui tutto riappare in una nuova luce, la luce in cui prende spicco quel vedere assoluto avvolgente ogni colore. Siamo destinati, quindi, al prevalere della coscienza di essere il cerchio infinito di luce che vede tutto, e ciò significa che il cerchio infinito appare già da sempre, anche adesso, solo che, appunto, non è ancora prevalente sulla finitezza dei suoi modi di essere (cioè sui propri cerchi finiti).

Ma il Ritorno è ancora talmente lontano che parlarne ora suscita scalpore e turbamento (non per me però). Chi non comprende il discorso di cui vado parlando ne ha paura, perché esso include l'affermazione della necessità che tutto ciò che di ognuno di noi rimane ancora nascosto ad ognuno degli altri è destinato a sollevarsi nella luce. In altre parole, ognuno deve sapere tutto di tutti, e ciò, per chi non comprende il suo senso autentico, provoca appunto paura, è un'eresia.

Concludendo, il cerchio finito che solo tu sei in questo momento, è avvolto dal cerchio infinito che tu stessa sei ma che, prevalentemente, non ti accorgi di essere. Sei destinata, tu, come ogni altro, a quella serie di cerchi finiti in cui prende spicco l'accorgimento di essere l'insieme che li unisce, di essere appunto il cerchio infinito. Questa serie è il Ritorno. Ma perché si affacci il Ritorno è necessario che muoiano tutte le vite della Prima Volta, e non soltanto la "tua" vita.

 LIDIA

Questo tuo discorso non mi fa paura, anzi lo capisco. Sono molto sensibile e ciò mi fa sentire in modo profondo l'unione che fa di noi una cosa sola nelle sue sfumature. Mi sento avvolta da ogni piccolezza, dai colori, oggetti, natura e persone. Mi sento compresa in loro, nella mia famiglia sono solo io così.
A volte sono in uno stato di stupore, di nirvana, di allontanamento dalla realtà, non perdendola però.
Il dolore degli altri mi fa soffrire.
Mi accorgo di essere il cerchio infinito, ci credi?

 MARCO

Vedi, in realtà, al di là di un'esperienza fuori dall'ordinario vissuta da ragazzino, la mia consapevolezza di essere il Tutto (pur sempre interna alla Prima Volta in cui tutti ancora ci troviamo, cioè interna al prevalere dell'in-consapevolezza intorno a ciò che veramente si è) cominciò ad aumentare di intensità scaturendo da ragionamenti molto complessi (come puoi notare dai miei libri), da dimostrazioni logiche. Ma non nel senso di una logica distinta dall'esperienza (una distinzione inesistente in verità, anche se si crede sia il contrario), bensì nel senso che le dimostrazioni logiche sul piano del linguaggio aiutano molto la mente stessa (cioè l'esperienza) a osservare, leggere, decifrare la propria struttura sempre in luce e tuttavia così enigmatica e deviante nei suoi modi d'essere.
Io la parola "credere" la uso in senso per lo più negativo, infatti io non dico mai di "credere" in ciò che dico, bensì dico di "sapere", di "capire", di "vedere", di "constatare" ciò di cui parlo, e a volte mi meraviglio anche che gli altri non riescano a scorgere che tutto è nella quiete sopra ogni tempesta.
Spesso non ti rispondo, lo avrai notato, ma ti seguo, e vedo che ancora non hai ben compreso, ma vedo anche che sei predisposta a fare dei passi in avanti già in questa tua certa vita, in questo piccolo frammento di eternità.

LIDIA

Ti voglio raccontare una mia esperienza sconvolgente ma utilissima per ciò che ha prodotto nella mia vita.
In un momento di intensa emozione sentii in me un effetto cosmico. Si era sposata mia figlia ed io sapevo che dopo questo avvenimento potevo separarmi da mio marito senza turbare la famiglia.
Il mio stato di essente si librò in un ambito al di fuori del comune sentirsi vivere e pensai: "I millenni di anni luce sono passati su di me, e sul mio cuore". Ma non lo pensai solamente, lo provai come un viaggio tra le meteore e le stelle e mi sentii così parte di loro da farmene toccare in una sensazione come se il mio essere si fosse trasferito in loro.
Al che, ero sul letto ma vicina al telefono, sollevai la cornetta e chiamai l'avvocato per intraprendere le pratiche della separazione. Mi era necessario per poter vivere ancora altrimenti il senso del dovere avrebbe avuto il sopravvento.
Il cosmo è entrato in me e mi ha aiutato, come fosse stato il Dio dei miracoli.

Ti voglio al contempo mandare uno scritto tratto dal tuo libro Matematica dello Spirito, che mi piace. Lo capisco, però vorrei che me ne parlassi.

«Ci si illude che la repressione sia un che di negativo, e che "l'istinto di sopravvivenza" (il bisogno di mangiare, di bere, di "guadagnarsi da vivere", di costruire abitazioni e abbellirle e renderle confortevoli, di riscaldarsi vicino al fuoco dopo aver tagliato interi alberi, ecc.) debba essere sempre di più salvaguardato, avvalorato e soddisfatto. In verità è destino voler sempre di meno nutrirsi, accoppiarsi e, in generale, sopravvivere, nel significato malato della parola, poichè è destino che ci si renda sempre di più conto che l'autentica sofferenza è proprio la volontà di darsi da fare per restare in vita: tutto vive infatti in eterno, nel modo processuale che al Tutto compete di necessità e non per effetto di una volontà alienante di produrre e distruggere le cose».

Ciao carissimo!!!! 


Nel mio piccolo frammento di eternità attendo l'eternità e la certezza di esserci già dentro non mi fa pesare le cose da affrontare ancora, quelle spiacevoli naturalmente.

 MARCO

Accolgo con interesse la tua personalissima esperienza. Ce ne sono tantissime, ma quasi nessuno ne parla e quindi rimangono per lo più inascoltate. Ho letto tantissime esperienze di NDE (esperienze di pre-morte), e ho trovato molte analogie con ciò che dico sia a riguardo di ciò che affiora con la morte, sia a riguardo del senso totale dell'Universo. Ci sono molte esperienze anche di reincarnazione, nel modo in cui la intendo io.
Anche io ho fatto la mia personalissima esperienza, che tengo conservata nei miei ricordi più indelebili. Fu un'esperienza avvenuta indipendentemente dal fatto che io le andassi incontro o meno. Ogni tanto provo a esperirla nuovamente, ma non è per effetto della volontà di fare che avvengono le cose, sia quando crediamo di aver ottenuto sia quando crediamo di non aver ottenuto ciò che si voleva ottenere. Fu un'esperienza che provai più di una volta all'età di 10 anni. Mi travolse e mi coinvolse. Con quell'esperienza avvertì per la prima volta il respiro dell'infinito, ma non riuscivo ancora a riportarlo nel linguaggio. Severino mi ha aiutato. Lui stesso, tra l'altro, racconta di un'esperienza fuori dal "normale", ma molto diversa dalla mia.

Riprendendo quel passo del mio libro, dico che la repressione di cui parlo è lo stesso calmo e già da sempre fermo autocontrollo del Tutto che noi, in quanto (anche) finiti, rigettiamo nell'inconscio. Questo autocontrollo è la stessa visione di tutti gli eventi, del passato e del futuro, ma solo alla fine del percorso degli eventi esso è destinato a prevalere nella sua intensità più luminosa. Voler rinviare e allungare il processo che conduce alla morte personale di ognuno si trova in contraddizione con la verità. Ma ciò non significa che noi si riesca veramente a modificare gli eventi e quindi ad allungare la nostra vita specifica che stiamo vivendo, e non significa nemmeno che, invece, sarebbe meglio voler accorciare o tagliare il filo di questa certa vita prima o poi morente.
Parlo di destino, di un percorso inevitabile, non di volontà di costruire il proprio futuro, che invece è già scolpito da sempre sul volto del Tutto. Tuttavia, il destino include in sé la volontà di fare, cioè la volontà che si illude che nulla sia eterno e che tutto debba essere creato e ricreato all'infinito. Dentro il nostro destino appare anche questa volontà, e lo sai bene. Ognuno di noi è consapevole prevalentemente di questa volontà, non di essere anzitutto il destino. Più ci si rende conto di essere il destino e più si osserva la volontà di fare secondo prospettive più ampie. Allora la congruenza (o coerenza) della volontà di fare rispetto al destino (cioè al fatto eterno che tutto è già compiuto, come già Gesù diceva e che poi l'interpretazione malata del Cristianesimo ha travisato) è la volontà dell'attesa, cioè di lasciare che gli eventi facciano il loro corso (che in realtà lo fanno lo stesso anche quando domina la volontà privata di modificarli).
Ti faccio un esempio. Cerca di seguirmi. In verità, ciò che noi chiamiamo "albero" è anche, all'interno del suo essere l'inconscio di ogni finito (cioè la coscienza che unisce ogni evento), un segno, una traccia che rinvia a una coscienza finita (come lo è la tua o la mia). Il problema che rimane aperto è: qual è questa coscienza finita? Il segno in cui l'albero consiste rimanda alla coscienza finita che esso stesso è, oppure alla coscienza finita che un altro essente è?
Facciamo ancora qualche passo avanti insieme, Lidia, rimanendo all'esempio. Quando vedi tua figlia, vedi una certa immagine reale che la coscienza finita di tua figlia lascia nella tua. Quest'immagine reale è appunto una traccia che la vita finita di tua figlia lascia all'interno della tua vita finita, cioè della tua prospettiva di vedere lo stesso Tutto che, secondo un'altra prospettiva finita, vede anche tua figlia. Ed anche tu lasci delle tracce all'interno della vita finita di tua figlia. Ognuno lascia delle tracce in ognuno degli altri. Le tracce che vengono lasciate sono un passato o un futuro rispetto a ciò in cui esse vengono lasciate, ma noi per lo più non ce ne rendiamo conto. Quando ricordi la tua infanzia ricordi te stessa, non ricordi un'altra coscienza che non abbia a che fare con te, sebbene vi siano delle differenze tra la tua coscienza di anni fa e quella di adesso. Ecco, quando invece pensi a tua figlia credi che lei sia in assoluto un'altra coscienza, come se non appartenesse, rispetto alla tua vita finita, ad un tuo passato o ad un tuo futuro. Questa è l'illusione di non essere il Tutto.
Facciamo altri passi, per poi ritornare all'esempio dell'albero. Prova adesso ad avere nella mente tua figlia, non nel senso di averla dinanzi come quell'immagine reale, ma di immaginarla nella tua mente. Ora, anche questa immagine che hai nella mente è un segno che tua figlia lascia nella tua vita finita, ma è un segno diverso da quello in cui consiste quell'immagine reale di tua figlia che ti si presenta dinanzi. Detto questo, si può osservare come l'immagine (di tua figlia) che hai nella mente rimandi a una coscienza finita, quella di tua figlia, che però non consiste direttamente in questa immagine che hai nella mente, mentre l'altra immagine, quella reale di tua figlia che hai dinanzi, rimanda a una coscienza finita, quella di tua figlia, che consiste direttamente nell'immagine stessa che tu hai dinanzi. Ecco la differenza.
Ora, tornando all'albero, noi non sappiamo se l'immagine che abbiamo dell'albero rimandi a una coscienza finita che consiste direttamente in quest'immagine stessa o che consiste in qualcos'altro, ma di sicuro possiamo e dobbiamo dire, appunto, che questa immagine rinvia a una coscienza finita.
Ciò posto, l'albero non è disponibile ad essere sfruttato e dominato da noi che ci definiamo "esseri umani". Nulla è in realtà disponibile ad essere sopraffatto.

LIDIA

Mi viene da fare una battuta!
Da come ragioniamo sembra che non vogliamo morire, perché dichiarandoci già nell'infinito e appartenendo già all'eternità può accadere che la progettata continuità ci liberi, almeno mentalmente, da questo evento e non considerandolo più una spada di Damocle!!!!!


venerdì 12 febbraio 2016

Amare e non amare



Sarebbe la cosa più bella quella non già di restare ma di incominciare a prevalere come profondamente amici, anche di chi si crede (illudendosi) di amare o di aver amato. Sarebbe l'amore a prendere spicco nella luce. Soprattutto la donna potrebbe incominciare a scandagliare il proprio abisso di relazione con l'altro, in una vicenda dove il rapporto fisico-sessuale appare per ciò che è, ossia come ciò attraverso cui la vera donna non intende sporcarsi ulteriormente. La vera donna si sente ormai nauseata dall'intenzione maschile di sopraffarla sessualmente, anche da coloro che con animo gentile le vogliono far credere il contrario con l'inganno. Ma ciò non significa cancellare le pur vibranti sfumature di cui vive il corpo, bensì farne esperienza a partire da una fonte infinita, quella della sensualità, dove il legame tra i sensi appare libero da ogni volontà di dominio, appare cioè come legame tra infiniti, legame tra le anime.
Chi dice di non amare più qualcuno non si avvede che se l'amore splende al centro di tutto, è impossibile che esso venga successivamente spinto ai margini. Quindi chi dice di non amare più qualcuno, sta dicendo in realtà di non averlo mai amato, nel senso che in quel rapporto specifico non ha prevalso l'amore, bensì ci si illudeva di amare con verità. Può affiorare la presa di coscienza sempre più ampia e colorata di amare qualcuno che si credeva di non amare, e quando ciò accadesse questo amore non potrebbe più svanire. Ma è impossibile rendersi conto di non amare più. In altre parole, ci si può accorgere di non aver amato veramente qualcuno di quell'amore che si credeva fosse vero amore e che invece non lo era, e quindi, scoprendo il vero senso dell'amore, accorgersi di amarlo da sempre, ma non ci si può avvedere, secondo il senso autentico dell'amore, di non amare più, appunto perché è impossibile non amare più, si può soltanto non accorgersi di amare già da sempre e quindi accorgersi di amare veramente ciò che si credeva illusoriamente di amare o di non amare. Anche negli eventi più terribili si nasconde lo sguardo del vero amore, uno sguardo che si mantiene nell'ombra appunto perché tale orrore prende spicco appiattendo l'amore che pur appare.