martedì 24 gennaio 2017

Un altro estratto di "Silenzi e respiri del destino"



Di notte, un uomo su un grattacielo ma senza luci intorno, quasi completamente al buio. Un uomo impaurito. Ma, lentamente, qualche luce comincia a illuminare la città, e così via fino a quando tutte le luci giungono a brillare. L’ansia di quell’uomo comincia pertanto a diminuire di intensità, e ancor di più quando, finalmente e senza ulteriori indugi, sorge l’alba del giorno nuovo, e poi l’aurora seguente e così via, passando per il mezzogiorno, verso il tramonto, nel modo in cui brillano sempre di più tutte le luci della città. Giunto il tramonto, quell’uomo gioisce dell’Amore più intenso, mai provato prima. Quel tramonto (l’ultimo) è allora ciò che non verrà seguito da alcun altra «sera» e «notte», e pertanto continua a brillare senza fine.

Ecco, questa può essere una metafora adeguata alla necessità che tutte le esperienze che non brillano ancora e quelle che sono ormai un passato si facciano innanzi, tutte, sulle vette della nostra coscienza, fino all’ultimissima vetta, giacendo sulla quale non ci si potrà più muovere, bensì ammirare per sempre, in carne ed ossa, lo spettacolo infinito in cui ognuno di noi consiste sin dall’eternità. E tutto ciò avverrà (e già avviene da sempre in sé) provando la gioia massima e subendo il minimum di dolore.

Estratto di "Silenzi e respiri del destino"



Ma vorrei adesso rispondere a quella che considero la più potente aporia intorno al mio discorso filosofico. Un’aporia che comunque, come vedremo, non riesce a negarlo, e quindi essa è un illudersi di poterlo negare.
L’aporia suona: «Tu, Marco, ci stai dicendo che tutto, l’intero percorso universale è già da sempre e per sempre compiuto, ultimato, proprio nel modo in cui si procede dal più lontano passato dell’Universo intero al più lontano futuro di questo stesso Universo (che noi stessi siamo nel profondo); ma, se così stanno le cose, com’è possibile che, ad esempio, ognuno di noi si trovi ancora in un certo punto di quel percorso e non negli altri?».
Rispondo. Leggendo bene tra le righe, si può comprendere come tale aporia presupponga, errando, che in verità l’intero percorso non stia sempre qui con noi, in luce, e che quindi noi ci si trovi soltanto in un certo punto (o in una certa serie di punti) e non in tutti gli altri. L’aporia sollevata, dunque, si risolve dicendo appunto che non può essere vero, è cioè un’illusione che l’intero percorso non si mostri ovunque qualcosa si mostri, ed è quindi anche un’illusione che ad apparire sia soltanto un certo punto piuttosto che gli altri.
Ma ciò non significa, tuttavia, che lo stare in certi punti e non negli altri non sia necessario, bensì significa che è però impossibile stare, appunto, soltanto in certi punti e non negli altri, appunto perché, se ciò fosse vero, implicherebbe che l’intero percorso non appare mai, cioè implicherebbe, in altre parole, che il destino totale degli eventi (il Tutto), essendo tutti gli eventi, sarebbe tali eventi che però, secondo l’aporia, sono soltanto un tratto, una parte, un punto del percorso intero, giacché il destino totale non sarebbe, appunto, sé stesso, e questo è l’impossibile.

Si deve dire allora che, nel modo futuro in cui a brillare sarà l’intero percorso e cioè la stessa Sincronia di tutti gli eventi, pur continuando a stare via via in certi punti del percorso e non negli altri, ciò che in quel modo futuro prevale non è lo stare in certi punti piuttosto che in altri (fermo restando che anche questo «stare» appare), bensì l’eterno stare, in verità, in tutti i punti del percorso (anche quando sarà l’ultimo punto a brillare nella luce). Ecco, questa è la differenza tra il prevalere attuale dell’illusione e il prevalere futuro della verità.