Di notte, un uomo
su un grattacielo ma senza luci intorno, quasi completamente al buio. Un uomo
impaurito. Ma, lentamente, qualche luce comincia a illuminare la città, e così
via fino a quando tutte le luci giungono a brillare. L’ansia di quell’uomo
comincia pertanto a diminuire di intensità, e ancor di più quando, finalmente e
senza ulteriori indugi, sorge l’alba del giorno nuovo, e poi l’aurora seguente
e così via, passando per il mezzogiorno, verso il tramonto, nel modo in cui
brillano sempre di più tutte le luci della città. Giunto il tramonto,
quell’uomo gioisce dell’Amore più intenso, mai provato prima. Quel tramonto
(l’ultimo) è allora ciò che non verrà
seguito da alcun altra «sera» e «notte», e pertanto continua a brillare senza
fine.
Ecco, questa può
essere una metafora adeguata alla necessità che tutte le esperienze che non brillano ancora e quelle che sono
ormai un passato si facciano innanzi, tutte, sulle vette della nostra
coscienza, fino all’ultimissima vetta, giacendo sulla quale non ci si potrà più
muovere, bensì ammirare per sempre, in carne ed ossa, lo spettacolo infinito in
cui ognuno di noi consiste sin dall’eternità. E tutto ciò avverrà (e già
avviene da sempre in sé) provando la gioia massima e subendo il minimum di dolore.