sabato 16 giugno 2018

Temporalizzarsi del Presente Eterno



Il futuro, ossia ciò che è anche un futuro è, anzitutto, il Presente Eterno che ogni tempo è (anche quello del più lontano passato), in quanto concretamente unito ad ogni altro tempo. Essendo l’unico Presente Eterno del Tutto, ciò che appare anche come un futuro può apparire in tal modo solo in quanto è un «presente temporale» (all'interno di sé, appunto, in quanto Presente Eterno) e quindi (anche) quello in cui consiste il «futuro». Ciò significa che il futuro non è soltanto un «poi», anzi può essere (anche) un «poi» solo in quanto è, originariamente, già da sempre accaduto, nel modo in cui, appunto, accade anche come un «poi». Si procede verso il futuro, pertanto, nel senso che si procede verso ciò che, originariamente, è già accaduto sin dall’eternità e continua ad accadere, sempre, già da sempre e per l’eternità. Ed è proprio perché brilla già da sempre in sé stesso, è proprio perché, cioè, il futuro non ha mai cominciato ad essere questo brillare già da sempre e all’infinito, è proprio per questo che esso può ed è necessario che sia così già da sempre accaduto nel modo in cui è anche un «poi», cioè nel modo in cui si procede verso di esso.

Il futuro, pertanto, come ogni altro tempo (= luogo), è sempre in luce, ma nel modo opportuno. Per ora, inteso come ciò che non è più atteso ma che è già sopraggiunto brillando nella Luce di sé stesso, il futuro non prende spicco (ossia non ci si accorge di esso) pur apparendo, e tuttavia brilla già, appunto, come atteso, e cioè questo «presente temporale» è la stessa «attesa» eterna dell’eterno futuro destinato a brillare. Decifrando correttamente solo alcuni dei segni che appaiono, ci si può già in qualche modo accorgere della «carne» e delle «ossa» vissute dal/nel futuro. Basta guardarsi attorno (= respectus = decifrare senza alterare il volto che appare) e avvertire di essere il Tutto, cioè il Presente Eterno che sta al fondamento di ogni proprio tempo (= luogo = differenziazione) interno. Tutto ciò che, scorrettamente, interpretiamo come l’esser soltanto «coscienza altrui», è in verità un passato o un futuro di quella che per ognuno è la «propria vita».
Io, nella mia vita, sto già osservando, nel modo congruente e opportuno, alcune di quelle vite che, rispetto alla mia, sono un passato (per lo più obliato) e un futuro (per lo più imprevedibile). Se, ora, prevalesse l’Eterno Presente che tutti sempre siamo e cioè che sempre appare, prevarrebbe la decifrazione esaustiva di tutti quei segni che ora, non decifrandoli esaustivamente ma in forma molto ridotta e comunque parziale, ci gettano per lo più nell’illusione di non vedere l’Eterno Presente e quindi tutti i suoi tempi (compreso il futuro).

Quando a brillare sarà (è) la verità del Tutto gioioso (che tutti siamo), la sofferenza non verrà meno, bensì verrà patita con sempre minor intensità, nel senso che essa stessa verrà sempre più amata (accettata, pur con senso critico). In realtà, il Presente Eterno, al prevalere del quale siamo destinati (già da sempre e che già da sempre viviamo, in verità), è l’Amplesso di tutto con tutto: il Concerto di ogni esperienza sensibile con ogni altra. L’Anima o Coscienza di cui qui si sta parlando è lo stesso Organismo o Corpo Vivente Assoluto, è cioè l'identità che lega in eterno tutti i «corpi finiti». Quindi non è una Coscienza che non sia «partecipe», «in carne ed ossa», di tutto ciò che si prova attraverso la corporeità. La Coscienza totale sente tutto, prova tutto, gioisce di ogni gioia e patisce ogni dolore, in concreto.