mercoledì 11 luglio 2012

"Del tragico Amore": Prefazione



Questo saggio si qualifica come un’altra serie di studi intorno al significato veritativo dell’essere, la prima raccolta dei quali è apparsa sotto il nome di Struttura concreta dell’infinito (con sottotitolo: negare la «storia dell’uomo», oltrepassando il pensiero di Severino); quest’altro insieme di studi è, pertanto, il naturale prolungamento di quella prima raccolta, un prolungamento strettamente legato a quest’ultima soprattutto perché, in essa, rimangono impliciti (esplicitati, ora, nel Tragico Amore) alcuni risultati centrali del discorso sul vero significato dell’infinito (cioè sull’autentico «senso della vita»). Tale implicitezza in effetti, presente nel testo de La struttura concreta dell’infinito, non ha consentito, al linguaggio di quel testo, di risolvere alcuni cruciali e determinati problemi filosofici.
Del tragico Amore, oltre a contenere importanti chiarimenti e sviluppi intorno ai risultati già accertati, analizzati e fondati in quel testo, si propone appunto di risolvere tutti quei problemi filosofici, legati al significato complesso (compiuto e specifico, nei limiti attuali che avvolgono questo linguaggio):

a) della morte (intesa sia come lo stesso divenire che porta dalla nascita alla cessazione di un essente, cioè di un eterno, sia come una cessazione siffatta) – e quindi anche di ciò che affiora prima della nascita di ogni vita (ad esclusione della nascita di ciò che, in questo nuovo libro, viene chiamato «la vita dell’Inizio», la quale vita non è preceduta da alcunché, appunto perché essa è la prima, già da sempre e definitivamente strutturata in sé stessa nel suo esser la vita infinita del concreto apparire del Tutto che ogni essente in verità è);
b) della felicità (ovverosia dell’Amore, del bene, della quiete, della pace, della serenità);
c) del dolore (cioè della tragicità dei modi in cui la totalità dell’essere si contrappone eternamente al niente assoluto);
d) dell’intera configurazione di ogni passato e di ogni futuro – e pertanto dell’attendere annunciando (cioè prevedendo) o non annunciando l’atteso, e del passare rimembrando (cioè ricordando) o dimenticando il passato;
e) del ri-affiorare (ossia del vero significato del «risorgere») degli eventi (vite, essenti eterni) di ciò che, in questo saggio, viene chiamato «la Prima Volta» (ovvero il prevalere della contraddizione in cui consiste la finitezza delle differenze – tale «riaffiorare» essendo quello che, nel Tragico Amore, viene chiamato «il Ritorno», tra il percorso della Prima Volta e quello del Ritorno ponendosi, invece, «il Passaggio “centrale”»), un riaffiorare che, giungendo al culmine del cammino finito della coscienza eterna del Tutto infinito, conduce a quello che ne La struttura concreta dell’infinito viene detto «ultimo evento», e che in questo nuovo volume viene chiamato «la vita dell’Ultimo» – una vita che, essendo l’ultima, non può essere seguita da nessun’altra (cioè da nessun altro eterno incominciante).


La struttura concreta della coscienza infinita dell’essere comprende sé stessa come una pluralità numerabile (finita, limitata) di tratti (tempi, individuazioni), e cioè tale coscienza (che ognuno di noi in verità è, anche in questo preciso momento della «nostra vita», e nella completezza del passato e del futuro) è già da sempre ed eternamente sé stessa nel modo diacronico in cui essa appare, dapprima (nel cammino affannoso e laborioso della Prima Volta), come l’affiorare di un certo numero di essenti (vite e rispettivi «passaggi», i quali portano da una vita all’altra; in questo senso, possiamo quindi parlare di «reincarnazione», «vite precedenti e successive» – la morte delle quali vite della Prima Volta essendo, in ogni caso, come un provvisorio «sospiro di sollievo», cfr. parte seconda, cap. 3°, par. 3), e poi, come l’avvento dell’eterno Passaggio che conduce al riaffiorare (cioè alla via del Ritorno) di quegli stessi essenti (fino alla vita dell’Ultimo, che altro non è che il riaffiorare dell’ultima vita della Prima Volta – la morte della vita dell’Ultimo essendo essa stessa inevitabile, immutabile, sì che tale vita non è e non conduce ad alcuna «scena fissa» in cui la coscienza del Tutto concreto sia un prolungamento, «all’infinito», del suo eterno esser cosciente di sé stessa).
Dapprima, prevale l’erranza del dolore in cui consiste ogni parte (dissomiglianza, individuazione, tempo, luogo) – giacché la lettura dei segni, cioè delle tracce che l’«altrui coscienza» lascia nella «propria», rimane enigmatica e deviante (e gli stessi «propri» modi di manifestarsi risultano alquanto imperscrutabili) –, ed in seguito, prevale la verità dell’Amore in cui consistono gli stessi essenti eterni che, nel trionfo di quell’erranza (cioè nel percorso della Prima Volta), si angosciano e si affliggono: feriscono «sé stessi» e gli «altri» – sì che, nel sentiero del Ritorno (e anzi già nel Passaggio), tutte le tracce appaiono come esaustivamente decifrate, il futuro è compiutamente annunciato e il passato totalmente ricordato.
Tutto ciò esiste in eterno (l’espressione «in eterno» essendo un pleonasmo che ha il compito di delucidare intorno al vero significato dell’«esistere»: «eternità» ed «essere» sono semanticamente identici – un’identità semantica che si estende, in un senso, ad ogni altro termine, e in un altro senso, a certi altri termini diversi da certi altri ancora, a loro volta semanticamente identici tra di loro; su tutto ciò si discorre ampiamente ne La struttura concreta dell’infinito, e viene poi ripreso nel Tragico Amore). Ogni evento (di ogni passato, presente e futuro) si manifesta in sé stesso già da sempre e definitivamente, nell’eternità (infinità), cioè non essendo mai il niente, ossia non provenendo e non rientrando nel niente. Noi non siamo il nulla, non lo siamo mai stati e mai lo saremo. Il futuro e il passato (tutte le esperienze altrui) risiedono fermamente nelle rispettive stanze di una casa che le include già da sempre ed eternamente (cfr. parte prima, cap. 1°, par. 1). Tutto appare in eterno, nel modo temporale (cioè nascendo, non venendo dal nulla, e morendo, non finendo nel nulla) che compete ad ogni essente.


Il libro è suddiviso in tre «parti» – la «Parte prima» essendo preceduta da un «Prologo» (un «dialogo tra me e me»), ripreso e completato, subito dopo la «Parte terza», nell’«Epilogo», seguito a sua volta dalle «Conclusioni» e dal «Glossario» (al quale si fa riferimento più volte nel corso di quest’opera, poiché in esso sono già indicati i rinvii necessari per la decifrazione adeguata della medesima opera e de La struttura concreta dell’infinito).
La «Parte prima» è sostanzialmente un’«Introduzione» che presenta, allestisce e prepara il terreno sul quale poggia il centro del discorso di questo nuovo saggio. Nel capitolo 1°, di tale «Parte prima», vengono richiamati (in generale e in vari punti specifici) e approfonditi i tratti di fondo del linguaggio de La struttura concreta dell’infinito: la testimonianza della verità, il significato della «filosofia», le uguaglianze e distinzioni semantiche tra i termini, la trascendenza e il divenire, il numero finito degli eventi (dal primo all’ultimo), il vero significato dell’«altro», l’errare e l’impossibilità della «contraddizione C» (questa ultima essendo sostenuta negli scritti di Severino). Nel capitolo 2°, invece, ci si accinge a parlare dei problemi risolti in questo nuovo libro: il percorso finito della Prima Volta e quello altrettanto finito del Ritorno, l’Amore autentico, la morte, il senso della «storia dell’uomo»; e viene anche ripresa e rapportata ai nuovi temi la metafora del «lettore» che legge le «pagine del libro» (una metafora che viene adottata all’inizio dell’«Introduzione» de La struttura concreta dell’infinito).
Tale «Parte prima» viene poi conclusa con ben cinque «Appendici (all’Introduzione)»: la prima è dedicata ad una breve sintesi acritica de La morte e la terra (il saggio probabilmente conclusivo della pars construens del discorso filosofico di Severino); nella seconda, invece, viene riportata un’intervista che ho rilasciato al giovane filosofo Alessandro Bagnato; nella terza («Tra il mio linguaggio filosofico e quello di Severino») si può trovare un lungo dibattito tra me e Roberto Fiaschi (il quale conosce molto bene le opere severiniane ed avendo letto, anche, il mio saggio La struttura concreta dell’infinito); nella quarta e nella quinta, infine, vengono riportati due confronti che ho tenuto con Pietro De Luigi (un altro studioso del discorso di Severino e del mio): il primo confronto è sulla tematica filosofica del «segno», mentre il secondo – «La “classe”, l’“inclusione”, la “parte”: tra Gödel, Strumia e Russell (e altri ancora)» – si riferisce al rapporto tra la «logica simbolica» e le mie tesi sui concetti di «classe», «inclusione», «totalità», «relazione», «parte», etc.
Nella «Parte seconda», poi, si mostra l’analisi dettagliata e minuziosa del risolvimento dei problemi lasciati in sospeso ne La struttura concreta dell’infinito. Nel capitolo 1°, di tale parte, appaiono ulteriori precisazioni sul senso del linguaggio; nel capitolo 2° ci si sofferma sul rinvio finito dei «modi» in cui la vita infinita della coscienza sempreviva dell’essere si contrappone eternamente al nulla; il capitolo 3° è dedicato soprattutto alla sofferenza delle vite (e di ciò che sopraggiunge con la loro morte, nei vari «passaggi») appartenenti al cammino finito della Prima Volta (dall’Inizio all’ultima configurazione che precede il Passaggio); infine, nel capitolo 4° viene approfondita l’esplicazione del fondamento per il quale si afferma l’esistenza del Passaggio e della via del Ritorno, chiarendo il senso autentico e profondo dell’Amore e del modo tragico di vivere la vita.
La «Parte terza» è costituita, invece, da una ripresa della mia critica rivolta al discorso filosofico di Severino, mettendo a confronto i nuovi risultati di questo saggio con La morte e la terra. Pertanto, viene spiegato analiticamente il motivo per cui è impossibile l’esistenza di ciò che Severino chiama, in quella sua opera, l’«istante senza attesa» in cui «non sopraggiunge alcunché», l’«istante», cioè, che (sempre secondo il linguaggio filosofico di Severino) viene ad aggiungersi «con la morte della volontà empirica». Si parla anche, in tale «Parte terza», del rapporto tra «l’Io del destino» e «l’io dell’isolamento»; e, ancora, della «contraddizione C», del «sopraggiungente inoltrepassabile», dell’«apparire infinito», della «Gloria della Gioia», del senso autentico del «risorgere» e del «reincarnarsi», e di altro ancora.


Ognuno di noi (io per primo) – anche chi evita di riconoscerlo (di fronte a quella che viene considerata «la propria vita» o davanti a coloro che si crede siano «gli altri», estranei rispetto a ciò che nella propria esperienza viene provato, sentito, pensato), attraverso maschere di ipocrisia, cesellate da infingimenti, conformismi, convenzionalismi, cortine, qualunquismi, mode, perbenismi, assuefazioni, usanze, costumi, dipendenze – chiunque, si sta dicendo, si trova in enormi difficoltà identitarie e in condizioni più o meno estreme di disagio, dovute al modo in cui ci si sente per lo più avvolti e dominati dall’incapacità di cogliere il senso autentico delle cose (ed è questo senso stesso che, al suo interno, non scorge la verità di sé stesso: noi siamo, infatti, il senso autentico della vita il quale, per un certo tempo – quello della Prima Volta –, è assoggettato alla propria inconsapevolezza intorno a ciò che esso già da sempre è).
Tuttavia, si sta chiarendo, ognuno di noi è (ancora, fino all’ultima vita del tracciato del prevalere della contraddizione del divenire) dominato da tale incapacità: noi sappiamo chi siamo (perché il «sapere» è l’«essere» concretamente inteso: «essere» e «sapere di essere» significano lo stesso); sennonché il sapere (il conoscersi: l’autocoscienza della totalità complessa dell’Uno indivisibile) – includendo sé stesso come un non sapere (ossia come ciò che, già ne La struttura concreta dell’infinito, viene chiamato «il nulla come parzialmente affermato»: il «non», incluso dalla forma concretamente assoluta dell’«essere»: il non esser questo mare, da parte di quelle montagne: il diversificarsi, il differire delle differenze, cioè dei tempi, luoghi dell’apparire infinito dell’essente eterno: il contraddirsi, cioè il non accorgersi di sapere, ossia di apparire, ossia di esser l’eterno), e quindi essendo, tale sapere, l’uguaglianza concreta della totalità che lega già da sempre (secondo una modalità processuale e cioè tragica, data la necessità del nascere e del morire) i suoi due tratti essenziali costituiti, l’uno, dal prevalere delle individuazioni finite (ovverosia dal tracciato della Prima Volta), e l’altro, dal prevalere dell’essenza concreta (ossia dalla via del Ritorno) –, il sapere, si sta appurando, resta ai margini, nell’eterno cammino limitato della Prima Volta, rispetto alla preminenza e centralità del modo (in cui consiste ciò che viene detto «tragicità della vita») in cui ognuno di noi (ogni essente: la struttura concreta del fondamento eterno) è cosciente di sé (ossia è sé stesso contrapponendosi già da sempre e infinitamente al nulla).
Dopodiché, cioè con la morte dell’ultima esperienza di quel cammino, il sapere (il vero Amore: l’amare autenticamente sé stessi, ossia tutto ciò che appartiene all’essente) incomincia a prendere notevolmente spicco, giacché con tale supremazia ci si rende sempre più conto di essere la «scala perfetta» della struttura concreta dell’essente (cfr. parte seconda, cap. 3°, par. 5) – della struttura concreta, cioè, della coscienza che esperisce sé stessa nella tragicità (dapprima, cupa ed energica, e in seguito, sempre meno intensa) del modo in cui, tale coscienza infinita, procede dal gradino più basso a quello più alto di quella scala (tenendo fermo che una scala siffatta è, nel suo insieme concreto, sia una «salita» che una «discesa»; e restando ancora problematico, per il linguaggio che si sta portando avanti da La struttura concreta dell’infinito a Del tragico Amore, quali analogie o addirittura identità semantiche possano costituirsi tra tale linguaggio e l’eccelso discorso idealistico di Hegel, lasciando aperta la possibilità che anche altri discorsi filosofici possano essere reinterpretati alla luce di quel linguaggio, cfr. parte prima, cap. 1°, par. 2).
La felicità autentica consiste in ogni singolo istante della nostra infinita esperienza («infinita», non nel senso che il percorso sul quale camminiamo non possa giungere ad un’ultima configurazione definitiva – essendo necessario, invece, che si pervenga alla vita dell’Ultimo –, ma semplicemente nel senso che, quell’esperienza, esiste – l’«esistere» essendo l’«esperienza» stessa di cui si dice che esiste –, cioè si mostra in eterno: non proviene e non finisce nel nulla – anche se, in questo caso eccezionale, il termine «semplicemente» è da intendere come la complessità semantica del Tutto comprendente ogni semplicità semantica). La felicità non è una situazione in cui non si patisca il dolore, perché una tale situazione è impossibile, data la necessità eterna che ogni coscienza sia il Tutto (la felicità autentica, appunto) cioè anche le sue parti (il patimento del dolore).
Ciò significa propriamente che noi, essendo sia legati (dall’Amore e nell’Amore che noi stessi siamo, l’«Amore» illuminandosi appunto come il «legame» che unisce il passato al futuro e ogni essente ad ogni altro essente) – cioè in relazione, nell’uguaglianza infinita dell’Uno indivisibile che ogni cosa è –, sia distinti l’uno dall’altro (tale distinzione essendo la stessa distinzione tra il «legame» e la «distinzione», ovverosia tra la totalità complessa della verità dell’Amore e le parti numerabili della contraddizione del dolore, fermo restando che gli essenti immutabili – A, B, C… – che strutturano il Tutto infinito sono identici a quelli in cui consistono le sue parti finite, un’identità includente appunto sé medesima come un distinguersi tra A, B, C…), siamo già da sempre e definitivamente opposti al niente proprio nel modo in cui l’Amore, ad un certo punto del suo cammino (precisamente in quel punto che è il Passaggio affiorante con la morte dell’ultima individuazione del percorso della Prima Volta), va concretamente verso quell’altro punto (il primo passo della via finita del Ritorno, che si affaccia con la morte del Passaggio) che si lascia definitivamente indietro il prevalere del dolore (cioè della contraddizione del tempo).
Solo in questo senso, autentico, si può ed è necessario affermare che la felicità si libera uscendo dai labirinti e prigioni che, nel governo dell’errore (cioè nel percorso finito della Prima Volta), la trattengono prevalentemente nel dolore (nella tragedia, nella morte, nel limite).
Il dolore continua pertanto ad essere patito anche quando, nella via del Ritorno, trionfa la felicità dell’Amore infinito della struttura concreta dell’essente eterno. In tale Ritorno, l’intensità, secondo la quale si manifesta il dolore, diminuisce considerevolmente, e cioè l’intensità, secondo la quale l’acquietarsi, felicitarsi e amarsi son presenti, comincia ad amplificarsi notevolmente ed in contesti sempre più ampi e complessi, fino al coronamento conclusivo dell’ultima appagante esperienza (quella dell’Ultimo).
Tuttavia, stiamo appurando, non per cotanta gioia e immenso splendore il dolore vien meno: avvicinarsi a quel coronamento, cioè all’esito finale del cammino finito dell’infinito, significa infatti avvicinarsi, anche, al tragico modo in cui ci si sente colmi di gioia e sapienza. In effetti, pur non finendo nel nulla, il viaggio dell’infinito finisce – in eterno, così come è nell’eternità che esso, infinito fondamento del Tutto, incomincia, sorge, affiora, per poi permanere, in modo temporale e sempre in eterno, lungo il sentiero della Prima Volta, con l’eterna morte della quale sopravviene il Passaggio eterno che conduce all’eterna strada del Ritorno (avvertendo, qui, nonostante sia già perspicuo da quanto si è detto, che il «Ritorno» di cui si sta parlando non ha nulla a che vedere con l’«eterno ritorno dell’uguale» a cui si riferiscono i pitagorici, gli stoici e soprattutto il linguaggio filosofico di Nietzsche; cfr. La struttura concreta dell’infinito, cap. VII, par. 5).


Siamo felici e ci amiamo per un motivo (su un fondamento) essenzialmente diverso da quello per cui si dice solitamente, nell’illusione di non essere l’eterno apparire del Tutto, che qualcuno è felice o infelice, ama o non ama (sé stesso, qualcosa o qualcun altro). «Essenzialmente» diverso, nel senso che ciò che l’«individuazione» (che è la medesima «essenza» in quanto, per l’appunto, si individua, ossia in quanto è un temporalizzarsi, particolarizzarsi, specificarsi) si illude che esista (l’«individuazione» essendo appunto l’«illudersi», il «contraddirsi», l’«errare»), questo «ciò», al di fuori del suo esser lo stesso illudersi (incluso in sé stesso in quanto essenza che lo oltrepassa già da sempre e definitivamente), non esiste, è il niente assoluto (il non-qualcosa, opposto eternamente alla totalità concreta dell’essere, cioè dell’essenza infinita).
Vogliamo essere felici, amarci, evitare il dolore (vogliamo renderci sempre più conto di quel che siamo). Tuttavia, se vogliamo tutto ciò per mezzo (servendoci) o sfruttando (approfittando) delle situazioni «a nostro favore», escludendo la felicità altrui, allora è chiaro che questa volontà vuole e si illude di raggiungere l’irraggiungibile (l’impossibile, il contraddittorio, il nulla).
Il «controllo delle emozioni» e la «resistenza alle tentazioni» sono il modo in cui cerchiamo, senza grandi successi (e ciò avviene fino all’ultima esperienza del prevalere della contraddizione del dolore), di privilegiare quel carattere autentico del bene e della volontà di amare che viene designato per lo più con espressioni quali «bontà d’animo», «umiltà», «sincerità», «rispetto», «modestia», «discrezione», «altruismo», «tolleranza», «clemenza», «indulgenza», «lealtà», «onestà», «buona fede», «genuinità».
Ciò che chiamiamo «esteriorità» prevale ancora (e fino alla vita conclusiva del cammino della Prima Volta) su ciò che chiamiamo «interiorità». Le «persone» vengono «usate», ovverossia ci si serve di esse per la realizzazione dei «propri scopi» («scopi personali», raggiungendo i quali si crede di aver trovato un’isola felice della propria profonda ignoranza, quest’ultima essendo, in verità, il mondo infernale in cui tutti ci troviamo inevitabilmente – fermo restando che noi siamo l’oltrepassamento eterno di quest’inferno, un oltrepassamento che è presente sempre e ovunque, e quindi anche qui, adesso, benché sia destinato a risplendere in modo sempre più intenso già nel Passaggio e ancor di più nel Ritorno), anche quando ci si convince di far del bene all’altro (creando «famiglie», «gruppi sociali», «associazioni», «istituti»).
«Sessualità», «piaceri fisici», «immaginazioni e proiezioni mentali», «cura del corpo», «ambizioni sociali»: tutti modi, questi, in cui, nel governo (prevalere) della «corporeità» (ossia della contraddizione del dissomigliarsi), si vive «tra» gli altri (giacché questo è il significato essenziale del «tra-dire»), mettendo in secondo piano lo «stare insieme» all’altro.
Si badi bene, però, a non confondere quanto si sta affermando, intorno a queste umane «abitudini», con la persuasione (priva di verità incontrovertibile) che esse si collochino su uno sfondo semplicemente «negativo»: tutto è, infatti, «positivo» (nel suo significato incontrovertibile) cioè anche «negativo».
Il vero Amore (che ogni essente è) ama ogni singola esperienza della «nostra vita», ama (= mostra, è) sé stesso. La facilità e superficialità con cui oggi, nell’«età contemporanea», si parla dell’«amore» (soprattutto in modo mieloso, smanceroso, melenso, lezioso), è lo specchio del momento transitorio in cui – dando addio alle tecniche premature e alle barbarie del grande passato dell’Occidente, ed aspettando la maturazione di un’epoca fatta di perfezionismi a non finire – viene tendenzialmente perso di vista il senso «forte» del modo in cui si è arrivati alla cosiddetta «età della tecnica e della scienza» (cfr. parte prima, cap. 2°, par. 4).
Aiutarci l’un l’altro è ciò verso cui tendiamo già da sempre e inevitabilmente (anche quando affermiamo di disprezzare, odiare e ferire gli altri). Tutto è eternamente deciso, e il Tutto eterno (che consiste in ogni nostra singola esperienza) è l’Amore. Pertanto, anche il modo in cui il male e l’orrore si mostrano trionfanti è la medesima coscienza infinita dell’Amore, la quale è cosciente di sé stessa (è autocoscienza, autofondazione eterna; cfr. Glossario) attraverso le finite modalità irripetibili in cui dal prevalere dell’odio (cioè della volontà isolante nel suo non avvedersi di essere avvolta da sé stessa in quanto autentica volontà di amare) si giunge, attraversando il Passaggio, al prevalere dell’Amore.
Amare è inevitabile, quindi è inevitabile subire ingiustizie e far del male a «sé stessi» e agli «altri», affinché ci si renda concretamente conto di cosa effettivamente significa amare, e cioè affinché giudizi ingenui e saccenti (giudicare «sé stessi» e «gli altri» è comunque giudicare sé stessi in quanto già da sempre identici alla totalità dell’essente), uccisioni e tremende violenze vengano lasciati per sempre alle spalle.
Farsi del male è drogarsi, ma l’autentica «droga» appartiene a tutti, perché essa è la stessa volontà di trovare protezione (rispetto ai pericoli della vita e all’insipienza di fronte a ciò che veramente si è) in qualcosa che non è l’inespugnabile verità dell’Amore infinito. Anche la «scienza» (e le «religioni», la «filosofia occidentale e orientale», l’«ideologia politica», la «poesia», la «musica», l’«arte», etc.), se viene alterato (come spesso accade) il senso del suo apparire e imporsi, è una droga siffatta. E lo è anche questo mio stesso saggio e tutto ciò che posso «dire» o «scrivere»: se viene concepito non nel suo senso autentico, il quale include anche la volontà di alterarlo (una volontà che non può riuscire ad alterare ciò che essa vuole), allora anche questo mio libro (o qualsiasi altro) è il frutto (illusorio) di tale volontà (giacché se questo «frutto» viene isolato dalla volontà che ne vuole l’esistenza – essendo questa stessa volontà ad operare un tale isolamento contraddittorio –, allora esso non esiste affatto).
Non si è ancora in grado di scorgere concretamente, «in carne ed ossa», che «gli altri» sono esperienze passate e future della «propria» (solo l’esperienza dell’Inizio non ha dietro di sé alcun passato – e tuttavia essa «è» il passato di tutto il suo futuro –, e solo l’esperienza dell’Ultimo non ha davanti a sé alcun futuro – e tuttavia essa «è» il futuro di tutto il suo passato). Prevalendo il contraddirsi, ci si vuole imporre sugli «altri», ma, stiamo tentando di acclarare, «avere la meglio» ed escludere coloro che chiamiamo «gli altri» («gli altri individui umani» o, comunque, «le altre cose») – quindi anche coloro che definiamo «stupidi», «malati mentalmente», «malviventi», «delinquenti», «assassini», «ladri» – vuol dire esser dominati dall’autentica «ignoranza» (che coinvolge tutti, nessuno escluso ed io per primo). (Personalmente, invito tutti a darci una mano e cercare di scorgere che ci si vuol bene anche quando si è convinti del contrario – fermo restando che tutto è già da sempre ed eternamente esistente, quindi anche questo mio invito).

15 aprile 2012

sabato 7 luglio 2012

"Del tragico Amore": Glossario





Certi termini (parole, espressioni), al di là delle interpretazioni che ne alterano il significato autenticamente innegabile, si mostrano come semanticamente identici tra di loro. Tale identità semantica (quella, cioè, che unisce i termini indicanti il Tutto) comprende in sé, (anche) distinguendosene, l’identità semantica tra cert’altri termini (indicanti la parte).
La prima identità semantica (la si indichi col simbolo I.S.¹), concretamente intesa, appare nella sua relazione originaria con la seconda (I.S.²), appare, cioè, anche nel suo distinguersi dalla seconda – tale distinguersi essendo la medesima distinzione tra gli essenti (mare, albero, questa mia vita, le altre vite, etc.), che in quanto distinti tra di loro sono certi essenti (ossia parti, differenze, tempi, luoghi, modi). L’unione di tali identità semantiche si oppone a un cert’altro gruppo di termini semanticamente identici tra loro, e cioè quelli che fan riferimento al nulla (I.S.³). (Cfr. in particolare: parte prima, cap. 1° e le Appendici terza e quinta; parte seconda, cap. 1°).


Affermare, dire

L’«affermare» o il «dire» (appartenenti, in quanto figure del linguaggio, all’insieme dei termini di I.S.², e in quanto figure del significato indicato dal linguaggio, all’insieme dei termini di I.S.¹) non consistono semplicemente (cioè soltanto) in modi in cui ci si riferisce all’«indicare» («testimoniare») in quanto distinto dall’«indicato», bensì sono innanzitutto lo stesso significato che viene testimoniato (ossia a cui si riferisce il linguaggio).
L’«affermare» è il «filosofare», ossia il «pensare» cioè l’«essere»: è un affermarsi, un fermarsi eternamente su sé stessi, contrapponendosi al nulla.
(V. Filosofia; Linguaggio; Segno; Significato).


Altro

L’«Altro» è sia l’assolutamente (infinitamente, compiutamente) altro (I.S.³) dalla totalità dell’essere, cioè il nulla, sia l’«altro» relativo (I.S.²) all’Io infinito della struttura concreta dell’essente.
La coscienza infinita della totalità dell’essere è anche, nel suo esser coscienza finita, un esser altro da sé stessa in quanto infinita. Tuttavia, è da capire che tale distinguersi (interno alla coscienza infinita) è lo stesso distinguersi tra le coscienze finite. Infatti, tutto l’«altro» (la «coscienza altrui», gli altri essenti, le altre vite, le altre differenze) che non si pone in un certo «io», si pone (esiste, appare) prima e dopo quel certo «io». (Soltanto la vita dell’Inizio non ha dietro di sé un «prima», e soltanto la vita dell’Ultimo non ha davanti a sé un «dopo»).
(V. Diacronia; Nulla; Numerabilità; Reincarnazione. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; S.C.d.I., cap. V).


Amore

L’Amore (I.S.¹) è la relazione, l’unione, il legame infinito e cioè l’uguaglianza assoluta che unisce, in eterno, ogni singolo essente. È la coscienza concreta del Tutto infinito dell’essere, la quale, guardando (= essendo) ogni evento, nel modo tragico in cui nasce e muore, non può che amarlo.
Amare significa, pertanto, essere tutto ciò che si è, anche nei modi in cui è prevalente l’esser parte, cioè il disprezzare sé stessi (il «proprio io» e l’«io altrui»), bramando, desiderando un qualcosa in più (come una situazione di estrema gioia in cui sia assente ogni forma di dolore) che in verità (cioè nell’Amore autentico) non può esistere. Amare vuol dire accettare, «nella buona e nella cattiva sorte», ogni singola esperienza del Tutto.
Dapprima, si ama nel prevalere della contraddizione del dolore e della violenza (ossia nel cammino della Prima Volta), per poi amare accogliendo il Passaggio che conduce al prevalere della verità della quiete e del sincero «volersi bene» (che conduce, cioè, alla via del Ritorno).
(V. Felicità; Volontà. Cfr. Esergo; Prefazione; parte prima, cap. 2°, par. 2; parte seconda, cap. 4°; parte terza, cap. 2°, par. 5; Epilogo; Conclusioni; S.C.d.I., cap. IX, par. 7).





Annunzio

Il senso dell’«annunzio» (I.S.²) prende notevolmente spicco quando, con la morte dell’ultima vita del percorso della Prima Volta, si fa innanzi il Passaggio in cui, appunto, viene annunciato il prossimo e imminente sopraggiungere del Ritorno. (Per il termine «annunzio», cfr. parte seconda, cap. 2°, par. 1).
Il futuro si manifesta, nel sentiero della Prima Volta, come non annunciato, non previsto, e cioè come annunciato nell’ambiguità e impenetrabilità proprie di quel sentiero. Nel Passaggio e in tutto il percorso del Ritorno il futuro si manifesta, invece, come annunciato, ossia come già previsto in tutti i suoi tratti (e comunque differendo, tale previsione, dalla visione futura).
(V. Attesa; Futuro).


Apparire, manifestazione, vedere

L’apparire (manifestazione, svelamento, rivelazione, mostrarsi, vedersi; I.S.¹) è l’essere, cioè questo nostro pensare, questo esser coscienti di tutto ciò di cui si può ed è inevitabile esser coscienti. Quando si usa il termine «apparire» ci si rivolge, nella realtà concreta, a quello stesso cui ci si rivolge quando si usa il termine «essere», a sua volta identico all’«eternità» e cioè, in una sola espressione, alla «struttura concreta della totalità infinita in cui consiste tutto ciò – case, animali, montagne ed ogni istante – che appare anche come un differire dagli altri essenti».
Tutto appare, ed appare in modo processuale, ossia nel modo in cui il Tutto è parzialmente assente (cioè parzialmente presente): il Tutto appare totalmente (e questo «totalmente» non è un «modo», bensì include ossia è anche un «modo») nel modo in cui appare parzialmente (cioè nel modo in cui è parzialmente assente). Il senso autentico di questo «modo» è ciò che consente di negare categoricamente che il Tutto appaia, sub eodem, totalmente e parzialmente.
(V. Autocoscienza; Esperienza; Io. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice terza; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. I, parr. 13-20).


Astratto

L’astratto (I.S.²) è la parte, cioè la volontà di separarsi da ciò – il Tutto concreto – da cui è impossibile separarsi. Questa volontà è dominante nel percorso della Prima Volta, ed è invece in quello del Ritorno, condotto dal Passaggio, che tale volontà perde il suo dominio. (V. Contraddirsi; Individuo umano; Interpretare; Isolamento; Potenza; Volontà).


Attesa

Un’attesa (I.S.¹) si manifesta in ogni essente, fuorché in quell’essente che è la vita dell’Ultimo (in cui appare che ogni attesa è un passato), con la morte della quale non affiora alcun altro atteso. Nella vita dell’Inizio si mostra (cioè la vita dell’Inizio è anche) l’attesa di ogni altra vita; tuttavia, in quell’Inizio – come in ogni altra vita della Prima Volta – l’atteso, che l’attesa attende, si manifesta come non annunciato. A partire dal sopraggiungere del Passaggio che porta al cammino finito del Ritorno, l’attesa è l’annunzio totale dell’atteso. (V. Annunzio; Futuro. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 1).


Autocoscienza, autofondazione

L’autocoscienza (autofondazione; I.S.¹) è la medesima coscienza (fondazione), cioè la coscienza di sé (il «sé» essendo appunto la «coscienza», giacché l’espressione «coscienza di sé» è un pleonasmo della parola «coscienza»), cioè l’esser sé, ovverosia la coscienza infinita della coscienza finita (coscienza infinita di sé in quanto finita: coscienza infinitamente cosciente di sé in modo finito). (V. Apparire; Esperienza; Fondamento; Io. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 1; S.C.d.I., cap. I, par. 20; cap. II, par. 10).


Coincidenza

La coincidenza (I.S.¹) è la cooriginarietà tra il Tutto e la parte, ossia tra le parti. La coincidenza è cioè la relazione, l’identità che è anche un differire.
Quando, nell’«Appendice quarta» della «Parte prima», viene distinta la «coincidenza» dall’«inclusione», precisiamo, qui, che tale distinzione è la stessa distinzione tra la «coincidenza parziale» e la «coincidenza totale», tale distinzione essendo identica alla distinzione tra l’«inclusione (relazione, identità) parziale» e l’«inclusione (relazione, identità) totale».
(V. Identità; Inclusione; Relazione; Sincronia).

Concreto

Il concreto (I.S.¹) è la visibilità dell’Assoluto nel suo esser eterno mediante l’invisibile – quest’ultima parola («invisibile») essendo semanticamente identica alle espressioni «invisibilità finita» e «visibilità finita».
Noi siamo il concreto, cioè siamo anche l’astrattezza in cui consistono i tratti della struttura concreta dell’infinito.


Contenuto

Il contenuto (I.S.²) è ciò che la forma include, e poiché quest’ultima include sé stessa come contenuto, il contenuto è la medesima forma astratta (finita, parziale, temporale). Il contenuto è cioè la parte stessa, la quale è appunto contenuta da (o in) sé medesima nel suo esser la totalità. (V. Fondato).


Contraddirsi, illudersi, errare

Contraddirsi (illudersi, errare; I.S.²) significa non accorgersi di essere il Tutto infinito dell’essente eterno, e cioè illudersi di esser soltanto un finito (una parte, un tempo, un luogo).
In quanto il contraddittorio (l’illusorio, l’erroneo), in cui il contraddirsi crede, viene concepito (dal contraddirsi stesso) come indipendente dall’illudersi che esso si mostri – concepito, cioè, come separato innanzitutto dall’infinito –, il contraddittorio (ad es. l’affermazione: «Tutto è niente») è il nulla stesso. In quanto il contraddittorio è concepito, invece, come legato al contraddirsi che crede nella sua esistenza (cioè nell’esistenza del contraddittorio), il contraddittorio è identico al contraddirsi. Cioè la differenza è tra il contraddirsi ossia il contraddittorio, in quanto essente, e il contraddirsi ossia il contraddittorio, in quanto non-essente.
Il contraddirsi è il distinguersi tra la totalità infinita e le sue parti finite, cioè tra queste parti: è la parte stessa (ossia il tempo, il luogo): è l’assenza (parziale, processuale) di ciò che pur appartiene a ciò rispetto a cui si costituisce l’assenza (le parti mancanti provocando pertanto il dolore, identico al contraddirsi).
(V. Astratto; Individuo umano; Interpretare; Isolamento; Potenza; Volontà. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 5; parte terza, cap. 1°, par. 2; cap. 2°, par. 1; S.C.d.I., cap. II; cap. VII, par. 6; cap. IX).


Cosa, qualcosa

La cosa (il qualcosa; I.S.¹) è tutto ciò che è essente: è la totalità infinita che appare eternamente nel modo i cui certe cose si distinguono da certe altre.
È l’apparire eterno dell’Uno (cioè della Cosa) che include sé stesso come una pluralità limitata di «certe cose» (ossia di differenti e finite modalità attraverso le quali il Tutto è sé stesso opponendosi al nulla). (V. Essente; Essere. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice terza; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. I, parr. 6-9).





Decifrazione, lettura

La decifrazione (la lettura; I.S.²) è decifrazione dei segni (tracce) che gli essenti lasciano, in eterno, negli altri essenti.
Nella strada del prevalere del finito, i segni rimangono indecifrati (e interpretati cioè alterati). Già col sopraggiungere dell’eterno Passaggio, invece, i segni, che gli altri essenti lasciano nel Passaggio, sono decifrati; ed anche tutti gli altri segni appartenenti alla via del Ritorno appaiono nella loro lettura esauriente.
(V. Linguaggio; Segno. Cfr. parte seconda, capp. 3° e 4°; parte terza, cap. 2°, par. 3).


Diacronia

La diacronia (I.S.²) è lo stesso «modo» in cui l’eterno è eterno: il Tutto infinito appare in sé stesso (è sé stesso) nel modo diacronico in cui dalla vita dell’Inizio si procede verso quella dell’Ultimo.
Nei «passaggi», che affiorano con la morte di ogni vita (tranne che con la morte della vita eterna dell’Ultimo, dopo il quale non sopraggiunge alcun altro essente), appare in modo sincronico ciò che in quelle vite appare in modo diacronico.
(V. Divenire; Modo; Morte; Passaggi. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 3; parte seconda, cap. 3°; S.C.d.I., cap. V, par. 12).




Differenza, distinzione

Il differire (il distinguersi; I.S.²) è il differire dell’infinita identità dell’essere. Le differenze («la mia vita», «la tua vita» ed ogni altro essente) consistono nei medesimi essenti che strutturano eternamente l’identità totale.
L’autentica «differenza ontologica» (cfr. S.C.d.I., cap. III, par. 1) è, appunto, la «differenza», semanticamente identica alle espressioni «differenza tra l’identità e la differenza» e «differenza tra le differenze (cioè tra le identità)».
(V. Altro; Individuazione; Modo; Parte. Cfr. parte prima, cap. 1°; cap. 2°, par. 1; Appendici terza e quinta; parte seconda, cap. 1°; cap. 2°, par. 1; cap. 4°, par. 3; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. I, par. 3; cap. III, parr. 2, 9; cap. V, parr. 5, 14; cap. IX).


Dimenticanza

Il dimenticare (I.S.²) è la dimenticanza del passato: ciò che passa può essere dimenticato, solo in quanto l’essente che passa è passato, e non in quanto è presente (cfr. parte seconda, cap. 4°, par. 6).
Nel cammino della Prima Volta, il passato appare come dimenticato; a cominciare dal Passaggio che conduce alla via del Ritorno, invece, la dimenticanza viene lasciata alle spalle, poiché, con quel cominciamento, il passato si manifesta come totalmente ricordato.
(V. Passato; Ricordare. Cfr. parte seconda, cap. 2°, par. 1; cap. 3°; parte terza, cap. 1°, par. 1).


Divenire, tempo, movimento

Il divenire (tempo, movimento; I.S.²) è la modalità secondo la quale il Tutto eterno è sé stesso opponendosi al nulla.
Il «divenire» è, innanzitutto, un «venire-dal» Tutto, nel senso che questo «venire-dal» è un dimorare già eternamente, da parte del diveniente, in sé stesso nel suo essere la totalità immutabile (non diveniente): l’essente diveniente non è un «venire», nel senso che non viene dal nulla, ed è un «venire», nel senso che viene cioè dimora già da sempre all'interno di sé in quanto Tutto infinito (cioè in quanto non incominciante e non cessante nel nulla).
Il divenire è il tempo, ossia la parte: le parti sono i tempi (momenti, istanti). I tempi, i movimenti sono già da sempre uguali a sé, strutturati eternamente in sé stessi in quanto relazione immediata e assoluta che unisce le parti (le differenze), cioè i tempi, cioè i movimenti.
Il movimento incomincia (sorge, affiora), ossia è costituito da un primo passo, e finisce (si compie, si conclude), ossia è costituito da un ultimo passo; ma è il Tutto immutabile che, non incominciando e non finendo nel nulla, incomincia e finisce, cioè si muove (in eterno).
(V. Diacronia; Evento; Finire; Incominciare; Modo; Percorso. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; parte seconda, cap. 1°; S.C.d.I., cap. II, par. 18; cap. III).


Dolore, sofferenza

Il dolore (la sofferenza; I.S.²) è la medesima presenza parziale del Tutto (il quale è presente totalmente nel modo in cui è parzialmente presente), immedesimata all’assenza (anch’essa parziale).
Il dolore è la contraddizione delle differenze finite (contenute in sé medesime in quanto uguaglianza assoluta dell’Intero), perché lo si accetta parzialmente cioè lo si rifiuta parzialmente.
Soffriamo, in quanto parti, per l’assenza di ciò che, in quanto siamo il Tutto, è già da sempre e per sempre presente. Se la presenza assoluta del Tutto infinito fosse tale indipendentemente dal modo parziale (processuale, astratto) in cui esso appare, allora esisterebbe l’impossibile, ossia una felicità senza alcun dolore. Siamo destinati a patire il dolore all’interno di noi stessi in quanto Tutto gioioso dell’Amore, un Amore che appare in eterno proprio nel modo in cui esso è destinato a lasciarsi per sempre alle spalle il prevalere del dolore (cioè l’eterno percorso limitato della Prima Volta).
(V. Tragicità. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 2; cap. 3°; cap. 4°, parr. 2-4; parte terza, cap. 2°, par. 5; S.C.d.I., cap. IX, par. 12).


Esperienza

L’esperienza (I.S.¹) è l’apparire cioè l’eternità dell’essere. Non esiste pertanto differenza semantica tra l’«esperienza» («fenomenologia») e la «logica» (cfr. S.C.d.I., cap. I, parr. 18, 24).
Si è preferito differenziare, ne La struttura concreta dell’infinito e in quest’opera, l’«esperienza» dall’«empirico», intendendo con quest’ultima parola il «trasceso», ovverosia il cangiante (il diveniente).
(V. Apparire; Autocoscienza).
Essente

L’essente (I.S.¹) è la manifestazione dell’eterno esser sé del Tutto concreto. È la vita infinita che contiene un numero limitato di vite diverse, ossia di certi essenti (parti, tempi, luoghi). (V. Cosa; Essere. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice terza; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. I, parr. 6-9, 22-24).


Essenza

L’essenza (I.S.¹) è la «sintassi» (la «persintassi»: cfr. parte prima, Appendice terza; S.C.d.I., cap. VI, par. 3; cap. IX, parr. 9-10) ovvero la forma concreta dell’infinito: è l’uguaglianza che lega in eterno tutte le sue differenze, individuazioni.
Ognuno di noi è l’essenza eterna che dal cammino della Prima Volta procede verso quello del Ritorno; e tutto ciò accade nell’immutabilità del Tutto concreto, cioè della stessa essenza (accade cioè in eterno, non venendo e non andando nel nulla).
(V. Fondamento; Forma; Identità; Io; Struttura).


Essere, esistere, esser sé

L’essere (esistere, esser sé; I.S.¹) è ciò che da sempre ed eternamente si contrappone al niente: è l’apparire infinito del Tutto concreto dell’essente, includente sé stesso come un certo essere.
Quando si dice che «l’essente esiste», l’«essente» è semanticamente identico al suo «esistere». Sono semanticamente uguali anche le espressioni «l’essente esiste», «l’essente è eterno», «l’essente appare», «l’essente si contrappone al nulla», «l’essente è la struttura concreta dell’Uno indivisibile».
(V. Cosa; Essente; Significato; Vita. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice terza; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. I, parr. 1, 6-20; cap. VII, parr. 6, 8).


Eternità, immutabilità

L’eternità (immutabilità; I.S.¹) è l’essente stesso, che si illumina nella sua compiutezza concreta. Che qualcosa sia eterno non significa che esso non si muova, bensì vuol dire che tutto l’essente si muove in eterno, ossia contrapponendosi al nulla, cioè non emergendo e non rientrando nel nulla. (V. Infinito; Necessità. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice terza; parte seconda, cap. 1°, par. 3; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. II, parr. 9-16; cap. VII, parr. 6, 8).


Evento, accadimento

L’evento (accadimento; I.S.²) è il medesimo affiorante che, dopo un certo periodo di permanenza, si dilegua. Concretamente distinto dal Tutto infinito dell’essere, l’evento è il tempo stesso, la parte. La coscienza infinita dell’eterno procede dal primo evento verso l’ultimo (dall’eterna vita dell’Inizio a quella altrettanto eterna dell’Ultimo). (V. Divenire; Finire; Incominciare. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; S.C.d.I., cap. IV; cap. V, par. 5).

Felicità

La felicità (I.S.¹) è l’essere: essere felici significa essere ciò che si è necessariamente (essendo tutto necessario). È lo stesso Amore infinito del Tutto.
La ricerca di una felicità mai ultimata in cui venga a mancare la totalità del dolore è una ricerca vana, che non potrà mai trovare quello che cerca. La felicità autentica è qui, e in ogni istante della totalità delle vite. Tuttavia, tale felicità autentica è ancora dominata dalle terrificanti esperienze del percorso della Prima Volta, piene di angosce, rimorsi, disperazioni, prostrazioni. Con lo stagliarsi del Passaggio che conduce al percorso del Ritorno, la felicità comincia ad elevarsi e a patire in modo sempre meno intenso il dolore che pur appare.
(V. Amore. Cfr. Prefazione; parte seconda, cap. 4°, par. 4; parte terza, cap. 2°, par. 5; S.C.d.I., cap. IX, par. 12).


Filosofia

La filosofia (I.S.¹) non è soltanto un linguaggio (e in quanto linguaggio, essa appartiene a I.S.²), bensì è la cosa stessa che il linguaggio indica. La filosofia è cioè il pensiero, l’essere. E in quanto linguaggio, essa è il linguaggio per eccellenza, che giace al fondamento di sé medesima in quanto linguaggio «scientifico», «politico», «poetico», «artistico», etc. Qualsiasi cosa si affermi, lo si fa filosofando. (V. Affermare; Linguaggio; Logica. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 2; Appendici seconda e quinta; S.C.d.I., Introduzione; cap. VI, par. 5).


Finire, cessare, togliersi, dileguarsi

Il finire (cessare, togliersi, dileguarsi; I.S.²) di qualcosa è il completarsi di ciò che, essendo affiorato, non può che procedere verso la propria fine (eterna, come ogni movimento).
Ciò che finisce, non finendo nel nulla, rimane in sé stesso, e continua a farsi avanti come un passato (eterno). Soltanto la fine della vita dell’Ultimo non conduce tale vita ad una continuazione di sé in quanto affiorante.
(V. Divenire; Incominciare; Morte; Parte. Cfr. S.C.d.I., cap. III; cap. V, par. 13).


Finito

Il finito (I.S.²) è tutto ciò che appare nel suo esser parte del Tutto infinito dell’essente eterno. Tutti gli essenti sono essenti finiti (astratti), all’interno della struttura infinita di questi stessi essenti (infiniti, cioè eterni).
La finitezza è il distinguersi tra i tempi cioè il loro esser limitati da sé stessi in quanto a-temporalità del senza limite (cioè del Tutto infinito): la finitezza è la modalità attraverso la quale l’infinito è infinito.
(V. Modo. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; Appendice terza; S.C.d.I., cap. IX).


Fondamento

Il fondamento (I.S.¹) è tutto, ogni essente. Il perché, la causa, il motivo per cui esiste qualcosa e non il nulla è lo stesso qualcosa che, stabilmente, si contrappone al nulla. Tale «motivo», cioè, non può essere diverso da ciò che si fonda su di esso (a meno che non ci si rivolga al «fondato», il quale è appunto diverso da sé stesso in quanto fondamento), proprio perché, se così fosse, anche questo «motivo» sarebbe qualcosa – giacché, se esistesse tale diversità, quel «motivo» verrebbe rinviato in indefinitum (essendo d’altronde impossibile che il fondamento dell’essere sia il nulla: il nulla non fonda alcunché).
Il fondamento fonda (= è) sé stesso; che esso fondi sé stesso significa che fonda anche il «fondato»: fonda sé stesso come fondato.
(V. Autocoscienza; Essenza; Inclusione; Originario; Sfondo. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 1; Appendici terza e quinta; parte seconda, cap. 4°, parr. 1-3; S.C.d.I., cap. II, par. 10; cap. VI, par. 4).


Fondato

Il fondato (I.S.²) è la parte, cioè il modo in cui il fondamento fonda sé stesso opponendosi al nulla. Il fondato è fondato eternamente da sé stesso in quanto fondamento che fonda sé medesimo e cioè, appunto, anche il fondato. I «fondati» (i «derivati», gli «effetti», le «conseguenze») sono i tempi, già da sempre incisi nella struttura del fondamento infinito. (V. Contenuto; Differenza; Parte. Cfr. ibid.).


Forma

La forma (I.S.¹) è l’infinito. Se la forma è intesa astrattamente, allora essa è identica al «contenuto», incluso nella forma autentica e infinita dell’essere. (V. Essenza; Fondamento; Identità; Io; Struttura. Cfr. S.C.d.I., cap. V, par. 1-3; cap. IX, parr. 1-3).


Futuro, atteso

Il «futuro» (l’atteso; I.S.²) è semanticamente identico alle «parti (tempi, luoghi, differenze) future». Il futuro, come il passato ed ogni presente, è già da sempre manifesto in sé stesso in quanto oltrepassamento concreto di ogni tempo, nel modo in cui si procede dalla vita dell’Inizio, che «ha» ma non «è» un futuro, alla vita dell’Ultimo, che «è» il futuro di ogni altro evento senza «avere» alcun futuro.
Ciò che sopraggiungerà domani esiste eternamente proprio nel modo in cui esso, rispetto a questo presente, è atteso ed è assegnato a manifestare, come un passato, questo suo esser atteso, e destinato, ancora, a passare esso stesso (a meno che non si tratti della vita dell’Ultimo).
(V. Annunzio; Attesa; Parte. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 1).


Identità, uguaglianza

L’identità (uguaglianza; I.S.¹) è l’apparire dell’eternità dell’Io concreto del Tutto: è la relazione tra ogni essente.
L’identità del Tutto indivisibile include un numero finito di differenze; ché, se tale numero fosse infinito, l’identità non esisterebbe, e quindi non esisterebbero neppure le differenze.
Essere identico a sé significa essere eternamente opposto al niente, nel modo in cui l’identità concreta nasce e muore.
(V. Essenza; Forma; Io; Struttura; Uno; Volontà. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice terza; S.C.d.I., cap. III, par. 10).


Inclusione

L’inclusione (I.S.¹) è l’includente che include sé stesso come incluso (non è cioè l’incluso ad includere sé stesso come includente: l’incluso è incluso in sé stesso in quanto includente). Pertanto, l’includente è anche l’incluso, questo ultimo non essendo altro che la parte, il tempo. L’includente è la trascendenza concreta di sé stesso in quanto finitezza trascesa cioè inclusa. L’includente è il Tutto stesso che unisce eternamente ogni sua parte.
La differenza tra l’includente e l’incluso è la stessa differenza tra gli inclusi, cioè tra gli includenti (in quanto appunto inclusi). L’includente è la relazione tra gli inclusi, identica alla relazione tra l’incluso e l’includente e alla relazione tra l’includente e l’incluso. (Si deve fare in modo che il linguaggio non crei confusioni semantiche).
(V. Fondamento; Forma; Oltrepassamento; Relazione. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 1; Appendici terza, quarta e quinta; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. I, par. 22; cap. II, par. 10; cap. III, par. 12; cap. V, par. 4; cap. VI, par. 4).




Incominciare, affiorare, nascere, aggiungersi

L’incominciare (affiorare, nascere, aggiungersi; I.S.²) di un essente è il suo affiorare non aggiungendosi dal nulla. Il Tutto concreto incomincia e finisce in eterno: l’incominciante appare, ossia è eterno, cioè si trova già eternamente all’interno di sé nel suo apparire come non-incominciante e non-cessante, ossia in quanto Tutto indivisibile. (V. Divenire; Evento; Finire. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 3; parte seconda, cap. 3°; S.C.d.I., cap. II, parr. 17-18; capp. III-IV; cap. V, par. 6).


Individuazione, specificazione

L’individuazione (specificazione; I.S.²) è il particolarizzarsi, temporalizzarsi dell’essenza concreta e trascendentale del Tutto eterno dell’essente. Ogni essente è l’individuazione di sé stesso nel suo esser l’essenza che così si individua. (V. Divenire; Evento; Individuo umano; Parte. Cfr. parte prima, Appendice quinta; parte seconda, cap. 2°, par. 3).


Individuo umano

Se l’«individuo umano» è inteso come un prodotto emerso dal nulla (magari per «volontà di Dio»), allora l’«individuo umano» (I.S.³) non esiste. Se esso viene inteso, invece, come l’illudersi che sia un tale prodotto, allora l’«individuo umano» (I.S.²) è la stessa «individuazione», inclusa in sé stessa in quanto essenza infinita (cioè in quanto «popolo», inteso appunto come la totalità delle coscienze). (V. Altro; Astratto; Contraddirsi; Individuazione; Interpretare; Isolamento; Potenza; Volontà. Cfr. parte prima, Appendice seconda; parte seconda, cap. 2°, par. 3; cap. 3°, parr. 2-4, 6; S.C.d.I., cap. VI, par. 2; cap. IX, parr. 11-12).


Indivisibilità, non-numerabilità

L’indivisibilità (non-numerabilità; I.S.¹) è l’unione eterna, l’uguaglianza che è tale nel modo in cui l’indivisibile è divisibile in un numero finito di elementi. (V. Identità; Infinito; Io; Totalità; Uno. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; Appendice quinta; parte seconda, cap. 2°, parr. 3-4; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. II, par. 8; capp. IV-V; cap. VII, parr. 5, 7).


Infinito

L’infinito (I.S.¹) è ciò che, non essendo limitato da alcunché, è la totalità dell’essere.
Noi siamo già da sempre ed eternamente l’infinito, lo siamo cioè originariamente, immediatamente, anapoditticamente. Esso è, in effetti, ciò per cui appare tutto ciò che appare, e quindi non può non apparire: appare come il fondamento assoluto di ogni cosa, un fondamento contenente sé stesso come finitezza fondata. Questa foglia è l’infinito, e cioè è anche un finito: non esiste cosa che non sia l’infinito, ossia non esiste cosa che non sia anche un finito.
(V. Eternità; Indivisibilità; Totalità; Uno. Cfr. parte prima, cap. 1°, parr. 3-5; Appendice terza; S.C.d.I., Introduzione; Indicazioni preliminari…; cap. IV, parr. 4-5; cap. V, par. 10; cap. IX).


Inizio

L’Inizio (I.S.²) è la vita che, per prima, affiora stando eternamente in sé stessa in quanto vita infinita del Tutto concreto.
L’Inizio è il passato più lontano di tutto quel che sopraggiunge al suo seguito. Il buio profondo di tale Inizio è la caratteristica del «cominciamento». L’Inizio è, cioè, un «avvertire» di essere molto di più di quell’ombra immane.
(Cfr. parte seconda, cap. 3°, par. 1).


Io, coscienza

L’Io (la coscienza; I.S.¹) è l’anima, lo spirito che consiste negli stessi essenti (mare, albero, etc.) di cui si mostra anche il loro esser «materia» («corporeità») di tale spirito.
La coscienza (l’Io) è il Tutto stesso nella sua concreta infinità: è l’essere, contrapposto già da sempre e definitivamente al nulla.
(V. Autocoscienza; Identità; Volontà. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; parte terza, cap. 1°, par. 2; S.C.d.I., cap. I, par. 20; cap. II, par. 7; cap. IV, par. 5; cap. V, parr. 1, 8).


Intensità

L’intensità (I.S.²) è il prevalere e non prevalere attraverso i quali si costituisce, dapprima (in eterno), il prevalere della contraddizione del finito e il non prevalere dell’infinito, e poi (sempre in eterno), il prevalere dell’infinito e il non prevalere del finito.
L’intensità minima è sia quella del dolore, la quale si manifesta nell’eterna vita dell’Ultimo, sia quella dell’Amore, la quale appare nella vita dell’Inizio. E l’intensità massima è, anche qui, sia quella del dolore, la quale appare nella vita dell’Inizio, sia quella dell’Amore, la quale appare nella vita dell’Ultimo.
(V. Prevalere. Cfr. parte seconda, cap. 3°, par. 5).


Interpretare

Interpretare (I.S.²) vuol dire voler alterare l’essente che innegabilmente si manifesta, apponendo, a tale essente, configurazioni estranee ed ulteriori rispetto a ciò che esso in verità è.
Ogni parte è l’interpretazione della totalità, cioè anche della parte stessa. Quando vogliamo che qualcosa sia «costruito» dal nulla (mediante le «capacità umane»), vogliamo l’assurdo (l’inattuabile, il contraddittorio, l’impossibile): tale qualcosa, inteso come incominciante dal nulla, è il nulla stesso (cioè non può esistere che qualcosa sopraggiunga dal nulla), e tuttavia quel qualcosa, in quanto si pone, è la stessa interpretazione che lo vuole, la quale si manifesta all’interno di sé in quanto non-interpretazione del Tutto infinito.
(V. Astratto; Contraddirsi; Isolamento; Potenza; Volontà. Cfr. parte prima, Appendice seconda; S.C.d.I., cap. II, par. 19; cap. VI, parr. 1-3).


Isolamento, separazione

L’isolamento (la separazione; I.S.²) è il niente, non esiste cioè la capacità di isolare qualcosa: esiste la volontà di isolare. In questo senso, l’isolamento esiste, cioè nel senso che è la volontà di isolare ciò che non può essere isolato.
L’isolamento tra le parti è impossibile, è impossibile cioè la separazione tra l’infinito e il finito. La volontà isolante è la parte stessa che, appunto, vuole isolarsi dal Tutto (cioè da sé stessa in quanto Tutto).
(V. Astratto; Contraddirsi; Interpretare; Nulla; Potenza; Volontà. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 5; parte terza, cap. 1°, par. 2; cap. 2°, par. 1; S.C.d.I., cap. IX).


Linguaggio

Il linguaggio (I.S.²) è il segno, l’indicazione che si rivolge alla verità semantica della sintassi infinita dell’essere. Il linguaggio «ha senso» solo in quanto è, innanzitutto, il senso (significato) da esso designato. Tutti gli equivoci provocati dal linguaggio scaturiscono dal mancato rilevamento dell’identità tra il linguaggio e ciò che esso designa. (V. Decifrazione; Filosofia; Logica; Segno. Cfr. parte prima, cap. 1°, parr. 2-3; Appendici seconda, terza e quinta; parte seconda, cap. 1°; S.C.d.I., Introduzione, Indicazioni preliminari…; cap. I, par. 24; cap. VI).


Logica

La logica (I.S.¹) è la stessa totalità dell’essente (l’autentica «filosofia»), includente sé medesima come l’autentico «linguaggio filosofico», contenente a sua volta sé stesso come «logica linguistica», «logica matematica», etc.
La logica autentica è, ad esempio, questo stesso telefono (ciò che chiamiamo «telefono») che si contrappone, in quanto Tutto concreto, al nulla assoluto, e che si distingue, in quanto parte astratta (temporale), dalle altre parti ossia dal Tutto che esso in verità è. La parola «logica» è semanticamente identica alla parola «esperienza».
(V. Filosofia; Necessità; Verità. Cfr. parte prima, Appendice quinta; S.C.d.I., cap. I, parr. 18, 24).


Luogo

Il luogo (I.S.²) è il tempo, la parte, il differire, il modo in cui l’infinito include eternamente ogni luogo. (V. Parte. Cfr. S.C.d.I., cap. II, par. 18).


Male

Il male (I.S.²) appartiene a tutti noi, ad ogni essente. L’autentico male è la volontà di dominio, di esser signori e padroni delle cose, di essere potenti escludendo il pensiero altrui. (Precisiamo che il «dominio» che, in questo caso, la volontà vuole, non è lo stesso di quello che appare quando parliamo di «dominio della contraddizione del dolore finito» o «dominio della verità dell’infinito»).
Il male è l’illudersi (il credere) di poter squartare per sempre qualcosa sospingendolo nel nulla. Tutto è eterno, anche la tremenda volontà di disfarsi di sé o di «qualcun altro». A cominciare dal Passaggio, il prevalere del male si mostra come un passato; il «bene» (I.S.¹) autentico può così dispiegare il suo apparire trionfante in ogni coscienza.
(V. Dolore; Tragicità).


Modo

Il «modo» (I.S.²) è la medesima finitezza, astrattezza, temporalità in cui consiste ogni essente nel suo esser parte. L’apparire concreto del Tutto vede eternamente sé stesso in un certo numero di modi, e tale numerabilità modale è la stessa individualità cangiante inclusa nella totalità infinita. (V. Individuazione. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 2; parte seconda, cap. 2°, parr. 3-4; cap. 4°, par. 4; parte terza, cap. 2°, par. 3).


Morte

La parola «morte» (I.S.²) può essere concepita in due modi: come lo stesso processo del nascere e morire, e come questo morire.
La totalità infinita dell’essere è sé stessa, in eterno, nel modo in cui nasce e muore. Ogni morte (tranne quella della vita dell’Ultimo) è l’affiorare di un «passaggio», in cui si mostra una diacronia tra due sincronie: tra la sincronia delle configurazioni della vita che è appena morta, e la sincronia delle configurazioni della vita che è in procinto di nascere. Ciò che in tali vite si manifesta in modo diacronico appare, nel passaggio – che si affaccia con la loro morte – in modo sincronico.
In ogni caso (tranne quello dell’Ultimo), quando si muore si approda ad un passaggio in cui si mostra, prima, l’insieme delle fasi della vita che è appena morta, e poi, l’insieme delle configurazioni della vita che è pronta a sopraggiungere.
Nel percorso della Prima Volta, ci si dimentica via via delle vite vissute in passato, e non si riesce a prevedere le vite destinate ad essere vissute nel futuro. Il passaggio è, comunque, come una «boccata d’ossigeno» (cfr. parte seconda, cap. 3°, par. 3).
Con l’affacciarsi del Passaggio che conduce sulla via del Ritorno, le vite del futuro appaiono come già annunciate, e le vite passate continuano ad essere totalmente ricordate.
(V. Finire. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 3; Appendice terza; parte seconda, cap. 2°, parr. 1-2; cap. 3°; parte terza, cap. 2°; S.C.d.I., cap. V, par. 8).


Necessità, inevitabilità

La «necessità» (inevitabilità; I.S.¹) è semanticamente identica all’«eternità», e quindi all’«apparire», all’«essere», al «Tutto infinito». La necessità è il destino dell’essere, è la necessità di esser ciò che si è. E ciò significa, propriamente, che siamo noi stessi (ogni essente) ad aver già da sempre e per sempre deciso di essere tutto ciò che siamo, e che lo siamo in modo processuale, temporale. (V. Eternità; Verità. Cfr. S.C.d.I., cap. II, par. 16).


Non-apparire, nascondimento, assenza

Il non-apparire (il nascondimento, l’assenza; I.S.²) è l’apparire parziale in cui consiste il modo in cui l’apparire è la luce che illumina eternamente tutto l’essere, che illumina cioè la totalità di sé stessa.
Il non-apparire è lo stesso «nulla come (parzialmente) affermato» (cfr. parte prima, cap. 1°, par. 5; Appendice terza; S.C.d.I., cap. II), il quale rinvia al nulla assoluto (e, in tal caso, il non-apparire, essendo il non-essere, è lo stesso nulla; I.S.³).
(Cfr. parte prima, Appendice terza; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. II; cap. V, par. 3; cap. IX).


Numerabilità, divisibilità, molteplicità

La numerabilità (la divisibilità, la molteplicità; I.S.²) del Tutto infinito è la necessità del distinguersi tra gli essenti. Una molteplicità che non sia numerabile è una molteplicità che non può essere tale, poiché i «molti», i «distinti», per essere tali, richiedono la loro numerazione, e cioè sono gli stessi «numeri».
La molteplicità numerabile è propria dell’Uno non-numerabile, il quale è non-numerabile (indivisibile) non nel senso che esso sia un numero infinito di differenze (essendo infatti impossibile una tale infinità di numeri), bensì nel senso che l’Uno non è ulteriormente divisibile, al di là, cioè, della divisibilità che in esso si mostra: la non-numerabilità (infinita) è l’identità che contiene sé stessa come differenza, cioè come numerabilità (finita).
(V. Altro; Differenza; Parte. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; cap. 2°, par. 5; Appendice quinta; parte seconda, cap. 2°, parr. 3-4; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. II, par. 8; capp. IV-V; cap. VII, parr. 5, 7; cap. IX, par. 9).

Nulla, non-essere

Il nulla (il non-essere; I.S.³) è il negativo, ovverosia il non-qualcosa, eternamente contrapposto alla totalità degli essenti. Tuttavia, il nulla, che è totalmente negato dall’essere, è anche parzialmente negato, cioè parzialmente affermato. Infatti, se il nulla non fosse così parzialmente affermato, non si potrebbe appunto affermare che l’essere non è il nulla. (V. Opposizione. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 5; S.C.d.I., cap. II).


Oltrepassamento

La parola «oltrepassamento» acquista, ne La struttura concreta dell’infinito e nel Tragico Amore, un duplice significato: il primo è quello dell’oltrepassamento concreto (I.S.¹) in cui consiste la totalità eterna dell’infinito; il secondo è invece quello dell’oltrepassamento astratto (I.S.²), in base al quale si dice che ogni diveniente oltrepassa parzialmente sé stesso (all’interno dell’oltrepassamento concreto di ogni diveniente).
Da questo secondo significato di quella parola, scaturisce anche l’affermazione necessaria che certi essenti eterni passano-oltre (oltre-passano) certi altri essenti eterni.
Quando si affaccia la vita dell’Ultimo, questa vita e la sua morte appaiono già all’interno di sé stesse in quanto oltrepassamento concreto del loro divenire; e cioè esse sono anche l’oltrepassamento astratto di sé stesse. Quando quella morte viene ad aggiungersi, non c’è alcun bisogno, quindi, che la vita dell’Ultimo venga lasciata alle spalle e sia oltrepassata da altri essenti.
(V. Inclusione; Passato. Cfr. parte seconda, cap. 3°, par. 5; parte terza, cap. 1°, par. 1; S.C.d.I., cap. II, parr. 5, 10; cap. IV; cap. V, parr. 2, 3, 5, 7; cap. VI, par. 4).


Opposizione, contrapposizione

L’opposizione (contrapposizione) è la distanza infinita tra la totalità dell’essere e il nulla. In quanto l’opposizione è opposizione al nulla, essa (I.S.¹) è l’essere stesso; in quanto, invece, è opposizione all’essere, essa (I.S.³) è il nulla. (V. Cosa; Essente; Essere; Nulla. Cfr. parte prima, Appendice seconda; S.C.d.I., cap. II, parr. 1-4).


Originario, immediato

L’originario (l’immediato; I.S.¹) è ciò che si manifesta sempre e ovunque, in ogni tempo: è l’infinito, anapoditticamente in luce come fondamento di ogni alba e tramonto. (V. Presente; Trascendentale. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; S.C.d.I., Introduzione; cap. II, par. 12; cap. IV, par. 5; cap. IX, parr. 3, 6).


Parte, tratto

La parte (il tratto; I.S.²) è la totalità in quanto parte: è la totalità parziale, è ogni essente nel suo essere il modo in cui lo stesso essente è infinitamente contrapposto al nulla.
La struttura infinita della totalità concreta dell’essente eterno consiste nei medesimi essenti (x, y, z…) in cui consistono i tratti finiti (x, y, z…) di questa eterna ed unica struttura.
(V. Differenza; Divenire; Individuazione; Luogo; Modo. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice quinta; parte seconda; cap. 1°, parr. 1 e 2; parte terza, cap. 1°, par. 3; S.C.d.I., l’Introduzione; le Indicazioni preliminari…; cap. II, parr. 5-8, 12-14, 18; cap. III, parr. 1, 12; cap. IX).


Passaggi, Passaggio

I «passaggi» (I.S.²) sono necessari affinché il divenire dell’infinito possa essere tale. Infatti, il divenire è inevitabilmente un differire tra differenze, e le differenze, nel loro differire, sono lo stesso modo diacronico in cui il Tutto è eternamente sé stesso. Da una differenza, dunque, si passa ad un’altra: tra le vite (sia quelle del cammino della Prima Volta, sia quelle della via del Ritorno) appare un passaggio: esso è appunto ciò che consente di passare ad un’altra vita.
In ogni passaggio (anche nell’eterno Passaggio «centrale»; I.S.²) si manifesta una diacronia tra due sincronie: tra la sincronia degli stati della vita che, prima di morire, gli mostrava in modo diacronico, e la sincronia degli stati della vita che, nascendo (dopo quel passaggio), gli mostrerà anch’essa in modo diacronico.
Nei passaggi appartenenti al percorso limitato della Prima Volta, le tracce, che gli altri essenti lasciano eternamente in essi, non sono decifrate. Nel Passaggio e nei passaggi appartenenti alla strada del Ritorno, invece, le tracce sono totalmente decifrate – giacché il passato è rimembrato e il futuro è annunciato.
(V. Diacronia; Morte; Passato; Sincronia. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 3; parte seconda, capp. 3° e 4°; parte terza, cap. 2°).


Passato

Il «passato» (I.S.²) è semanticamente immedesimato alle «parti (tempi, differenze, luoghi, individuazioni) passate». Ciò che passa rimane in sé stesso per l’eternità, nonostante esso appaia, nel cammino della Prima Volta, come un passato obliato. Ma con lo stagliarsi del Passaggio e in tutto il sentiero del Ritorno, il passato si manifesta come totalmente ricordato. (V. Finire; Dimenticanza; Oltrepassamento; Passaggi; Ricordare. Cfr. parte prima, Appendice terza; parte seconda, cap. 3°; cap. 4°, parr. 1, 3, 5; parte terza, cap. 1°, par. 1; S.C.d.I., cap. III, par. 6; cap. V, parr. 5, 6, 13).


Percorso, cammino, via, processo

Il percorso (il cammino, la via, il processo; I.S.²) è il medesimo movimento, divenire, cambiamento interno alla struttura immobile del Tutto. Il percorso finito dell’infinito apparire dell’essere include un primo accadimento – la vita dell’Inizio –, interno al prevalere della contraddizione del finito (interno cioè al cammino della Prima Volta); ed include un ultimo accadimento – la vita dell’Ultimo –, interno al prevalere dell’infinità dell’Amore eterno (interno cioè alla via finita del Ritorno). (V. Diacronia; Divenire. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; parte seconda, cap. 3°, par. 5; S.C.d.I., cap. IV; cap. IX, par. 9).


Potenza

Se con la parola «potenza» si intende la medesima capacità eterna di opporsi al nulla, allora la potenza (I.S.¹) è la coscienza infinita dell’essere. Se con quella parola viene invece intesa la capacità di far uscire qualcosa dal nulla, allora la potenza (I.S.³) non esiste (ci si illude che esista: è la medesima volontà – I.S.² – che essa esista). (V. Identità; Interpretare; Isolamento; Volontà. Cfr. S.C.d.I., cap. VI, parr. 1-3; cap. IX, par. 1).


Presente, presenza

Il presente (la presenza; I.S.¹) è la coscienza originaria dell’eterna struttura della totalità infinita. Lo si deve pertanto distinguere dal «presente temporale» (I.S.²).
Tutto è già da sempre e definitivamente presente nel modo in cui esso è temporalmente (parzialmente) presente. Il passato è presente come passato (ricordato o dimenticato), e il futuro è presente come atteso (previsto o imprevisto).
(V. Apparire; Originario; Trascendentale).


Prevalere

Il prevalere (I.S.²) è, da una parte, quello della contraddizione delle differenze finite e divenienti, e dall’altra parte, quello della verità del Tutto immutabile. Il prevalere della parte è la stessa parte come distinta dal Tutto; e il prevalere del Tutto è lo stesso Tutto come distinto dalla parte. Il prevalere della parte finita è quello che abbiamo chiamato «la Prima Volta», e il prevalere del Tutto è invece «il Ritorno» – tra la Prima Volta e il Ritorno ponendosi il Passaggio. (V. Intensità. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 1; parte seconda, cap. 2°, par. 1; cap. 4°, par. 3).


Prima Volta

La Prima Volta (I.S.²) è il percorso del prevalere della contraddizione della finitezza del dolore della morte. Il cammino della Prima Volta è costituito da un numero finito di vite (vita dell’Inizio, seconda vita, e così via fino all’ultima), con la morte delle quali appare un passaggio che conduce ad un’altra di quelle vite; solo l’ultima vita di quel cammino porta al Passaggio dopo il quale sopraggiunge la via del Ritorno.
Nel percorso della Prima Volta è dominante l’angoscia, la paura, il rimpianto, la tristezza, le guerre, i dolori fisici più atroci (in attesa del lieto acquietarsi dell’eterna coscienza nella dimensione del Ritorno).
(Cfr. parte prima, cap. 2°, parr. 2, 5; parte seconda, cap. 2°, par. 1; cap. 3°).


Problema, domanda

Il problema (la domanda; I.S.²) è l’assenza parziale in cui consiste il modo di essere eterno dell’immutabile risolvimento di ogni problema.
Ogni essente, in quanto finito, è la soluzione astratta (parziale, astratta, incompleta) di sé stesso (ossia del problema in cui esso consiste); ed esso è, anche, sia un problema che è risolto dalla soluzione astratta propria degli altri essenti, sia la soluzione astratta dei problemi in cui consistono gli altri essenti.
(Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 1; Appendici seconda e terza; parte seconda, cap. 2°, par. 2; cap. 4°, par. 3; S.C.d.I., cap. VI, par. 3; cap. IX, par. 9).


Reincarnazione

L’autentica «reincarnazione» (I.S.²), cioè il senso autentico delle «vite precedenti e successive», è la necessità che l’Io infinito del Tutto eterno esperisca tutto sé stesso nel modo in cui passa da una «propria vita» ad un’altra «propria vita».
Nel cammino finito della Prima Volta, le vite passate scendono nell’oblio e le vite future appaiono come non annunciate. Quando affiora il Passaggio che conduce alla via del Ritorno, la vita viene vissuta rimembrando le vite già vissute e prevedendo quelle future.
(V. Diacronia; Passaggi. Cfr. parte terza, cap. 2°).


Relazione, legame

La relazione (il legame; I.S.¹) è l’uguaglianza che unisce già da sempre e per sempre ogni evento: è il Tutto concreto dell’essente.
La relazione avvolge la totalità di sé stessa in quanto distinzione – questa distinzione essendo la distinzione finita cioè la relazione finita. Tutte le vite (e rispettivi passaggi) sono distinte tra di loro, cioè sono parzialmente legate, all’interno di sé stesse in quanto infinitamente legate nel loro non emergere e non rientrare nel nulla.
(V. Coincidenza; Identità; Inclusione; Io; Sincronia; Struttura. Cfr. parte prima, Appendice quinta; S.C.d.I., cap. III, parr. 9-10; cap. IX, par. 8).


Riaffiorare, risorgere

Il riaffiorare (risorgere; I.S.²) è l’inevitabile farsi nuovamente innanzi di ciò che, non avendo decifrato i propri segni, è appunto necessario che, nella «nuova venuta», gli decifri esaustivamente. La «resurrezione» autentica è, pertanto, la via del Ritorno. (V. Ritorno. Cfr. parte prima, cap. 2°; parte seconda, cap. 4°; parte terza, cap. 2°).


Ricordare, rimembrare

Ricordare (rimembrare; I.S.²) significa che le tracce, che il passato lascia nel presente temporale, appaiono nel loro esser decifrate. L’esaustività e purezza di tale decifrazione accade con l’avvento del Passaggio, fino all’ultima identità della via finita del Ritorno. Nel percorso della Prima Volta, invece, trionfa l’oblio. (V. Dimenticanza; Passato. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 1; cap. 2°; parte seconda, cap. 2°, par. 1; cap. 4°).




Ritorno

Il Ritorno (I.S.²) è il percorso condotto dal Passaggio, quest’ultimo essendo preceduto dalla strada della Prima Volta. Il Ritorno è il necessario prevalere dell’infinito apparire del Tutto che si lascia alle spalle il prevalere del finito apparire della parte.
Nella via del Ritorno (e già nel Passaggio) sono decifrati i segni che nella Prima Volta, invece, rimangono enigmatici e svianti. In quella via, vengono rivissute tutte le vite già sperimentate nel cammino finito della Prima Volta; rivivendole, ci si rende sempre più conto del loro senso autentico.
(V. Riaffiorare. Cfr. parte prima, cap. 2°; parte seconda, cap. 2°, par. 1; cap. 4°; parte terza, cap. 2°).


Segno, traccia

Il segno (la traccia; I.S.²) è tutto ciò che appare come parte diveniente della totalità immutabile.
In «questa mia vita» appare il segno di «ogni altra vita» (e in ogni passaggio, che porta da una vita all’altra, è posto il segno di ogni altro essente). Ad esempio, nella vita dell’Inizio appaiono i segni che tutte le altre vite (essenti) lasciano in essa, e vi appaiono come un atteso imprevisto; invece, nell’eterna vita dell’Ultimo appaiono, come un passato rimembrato, tutte le vite (essenti) che la precedono.
(V. Decifrazione; Linguaggio. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 2; Appendice quarta; parte seconda, cap. 3°; cap. 4°, par. 3; parte terza, cap. 2°, par. 3; S.C.d.I., cap. I, parr. 1-2).


Sfondo

Lo sfondo (I.S.¹) è l’infinito stesso: è la struttura concreta del Tutto eterno dell’essente. Lo sfondo è costituito, pertanto, dai medesimi eterni di cui appare (anche) il loro divenire finito ed astratto. (V. Essenza; Fondamento; Forma; Originario; Struttura; Trascendentale. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; S.C.d.I., cap. II, parr. 15, 17, 18; cap. IV, parr. 7, 10; cap. V, par. 3; cap. VI, par. 4).


Significato, semantica

Il significato (la semantica; I.S.¹) è il Tutto semantico dell’essere. L’esistere è il significare: che qualcosa esista, appaia, sia eterno, sia l’infinito, vuol dire che questo qualcosa (che è il medesimo esistere, apparire, etc.) è significante, ossia significa ciò che esso è (= significa).
Il significato infinito è unico, ed è designato da una pluralità finita di segni, ossia di significati significanti (= essenti = manifestantisi) come segni.
(V. Essere. Cfr. parte prima, cap. 1°, parr. 2-3; Appendice terza; parte seconda, cap. 1°; S.C.d.I., Introduzione; cap. I, parr. 1, 2, 5, 6; cap. II, par. 18; cap. VI, parr. 1-4).


Sincronia

La sincronia (I.S.¹) è, concretamente intesa, lo stesso stare insieme di ogni essente con ogni altro essente: è la relazione originaria che è già da sempre ed eternamente sé stessa in modo diacronico.
Il prevalere del Tutto infinito dell’essente, ossia l’eterna e finita via del Ritorno, è il prevalere della sincronia tra tutti gli eventi. E già nei passaggi appartenenti al percorso della Prima Volta appaiono delle sincronie che sono invece assenti nelle vite specifiche di quel percorso.
(V. Coincidenza; Relazione. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 3; Appendici terza e quarta; parte seconda, cap. 3°; parte terza, cap. 2°, par. 1; S.C.d.I., cap. V, par. 12).


Struttura

La «struttura» (I.S.¹) è lo stesso Io infinito della totalità concreta dell’essente eterno. La struttura dell’infinito comprende sé stessa come un numero finito di «tratti»: la struttura è struttura dei suoi tratti, cioè di sé stessa in quanto tratto; e cioè i tratti sono tratti della loro struttura, cioè di sé stessi in quanto struttura. (V. Essenza; Fondamento; Forma; Identità; Relazione; Sfondo; Trascendentale. Cfr. parte prima, Appendice seconda; S.C.d.I., Introduzione; cap. VI, par. 4).


Totalità, Tutto, Intero

La totalità (il Tutto, l’Intero; I.S.¹) è ogni essente che appare anche come un distinguersi dagli altri essenti. Questo mio star qui seduto è il Tutto infinito dell’essere, come lo è ogni altra questità. Infatti, il Tutto concreto è veramente tutto, nel modo parziale (diveniente, temporale, finito) che compete ad ogni essente (cioè al Tutto stesso).
La totalità concreta è cioè l’apparire eterno del processo finito di sé stesso: è la relazione tra il cammino finito della Prima Volta e la via altrettanto finita del Ritorno: è la-Prima-Volta-del-Ritorno, e cioè il Ritorno-della-Prima-Volta, ossia la Prima Volta e il Ritorno (includenti il Passaggio).
(V. Indivisibilità; Infinito; Trascendentale; Uno. Cfr. parte prima, cap. 1°, parr. 3, 5; cap. 2°, par. 1; Appendici terza e quinta; parte seconda, cap. 1°, parr. 1 e 2; cap. 2°, parr. 1, 4; cap. 4°, par. 3; parte terza, cap. 1°, par. 3; S.C.d.I., Introduzione; Indicazioni preliminari…; cap. I, par. 9; cap. II; cap. III, parr. 5, 12; capp. VII, IX).


Tragicità

La tragicità (I.S.²) è il modo in cui l’Amore del Tutto ama (= è) eternamente sé stesso. Questo modo è «tragico» perché esso è il processo del nascere e morire di ciò che, in eterno, ama ogni singolo istante di tale processo.
Nella via del Ritorno, la tragicità, pur continuando ad affiorare, riduce di gran lunga la propria intensità luminosa – rispetto, invece, all’atrocità del modo in cui vengono vissute le vite del cammino della Prima Volta.
(V. Dolore; Isolamento; Male. Cfr. Esergo; Prefazione; Prologo; parte prima, cap. 2°, par. 2; parte seconda; cap. 4°, parr. 2-4; parte terza, cap. 2°, par. 5; Epilogo; Conclusioni).


Trascendentale, trascendente

Il «trascendentale» (I.S.¹) autentico è il medesimo «trascendente». Il vero «apparire trascendentale» è, quindi, lo stesso «apparire infinito del Tutto concreto».
Se per «empirico» si intende il «diveniente» (il cangiante, il finito, il temporale, l’astratto, l’individuale), allora il trascendentale infinito trascende sé stesso nel suo apparire come un empirico trasceso.
(V. Essenza; Forma; Fondamento; Originario; Sfondo; Struttura. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 4; Appendici terza e quinta; S.C.d.I., cap. II, parr. 17 e 18; cap. IV, par. 9; cap. V, parr. 1 e 2).


Ultimo

L’Ultimo (I.S.²) è la vita conclusiva (l’epilogo finale) che il Tutto è destinato a vivere (in eterno). Essa appartiene alla via del Ritorno. Con la morte definitiva della vita dell’Ultimo, non affiora alcun passaggio, poiché non esiste alcun’altra vita che possa oltrepassare quella vita. La vita dell’Ultimo, infatti, si manifesta (come ogni altro evento) all’interno di sé stessa in quanto oltrepassamento concreto del suo divenire, quest’ultimo essendo già di per sé stesso l’oltrepassamento astratto di sé medesimo.
Si conclude, così, ciò che in verità è già da sempre ed eternamente concluso, proprio nei modi specifici e processuali in cui si vive.
(V. Divenire; Evento; Finire; Morte; Oltrepassamento. Cfr. parte seconda, cap. 4°, par. 5; parte terza, cap. 1°, par. 1).


Uno

L’Uno (I.S.¹) è ciò che noi siamo eternamente, nella molteplicità finita dei suoi modi di contrapporsi allo Zero infinito (cioè al nulla). (V. Indivisibilità; Infinito; Totalità. Cfr. parte prima, cap. 2°, par. 5; Appendice quinta; S.C.d.I., cap. V, par. 11; cap. VII, parr. 4 e 5).


Verità

La verità (I.S.¹) è l’assolutamente innegabile, ciò che in nessun tempo può essere smentito, abbattuto. Essa è lo stesso esser coscienti di essere eternamente contrapposti al nulla, nel modo in cui si nasce e si muore. (V. Necessità. Cfr. parte prima, cap. 1°, parr. 2 e 3; parte seconda, cap. 3°, par. 5; parte terza, cap. 1°, par. 2; S.C.d.I., cap. VI; cap. VII, par. 6; cap. IX, parr. 13, 7, 12).


Vita

La vita (I.S.¹) è, concretamente, la medesima esistenza del Tutto infinito, includente sé stesso come una pluralità limitata di vite differenti.
Dalla vita dell’Inizio, siamo destinati (noi, che siamo l’Uno infinito), con la sua morte, al passaggio che conduce alla seconda vita, e così via fino all’ultima vita del percorso della Prima Volta; quando quest’ultima vita muore, si fa avanti il Passaggio dopo il quale riaffiora la vita dell’Inizio – tale riaffiorare essendo la prima vita della strada del Ritorno –, e così via fino al riaffiorare di quell’ultima vita – tale riaffiorare essendo l’ultima vita del sentiero del Ritorno, cioè la vita dell’Ultimo.
(V. Essere. Cfr. parte prima, cap. 2°, parr. 3-4; parte seconda, capp. 2-4; parte terza, cap. 2°; S.C.d.I., cap. V, par. 8).
Volontà

La volontà è sia la volontà (I.S.¹) della verità del Tutto – una volontà che vuole eternamente tutto ciò che, in modo temporale, si contrappone al nulla –, sia la volontà (I.S.²) dell’errare in cui consiste il finito – la quale, essendo quello stesso «modo temporale» in cui la volontà eterna della verità vuole sé stessa, vuole isolarsi da sé stessa nel suo esser volontà infinita (un isolamento impossibile).
Il prevalere della volontà isolante è assegnato ad esser lasciato indietro dal prevalere della volontà dell’Amore.
(V. Amore; Autocoscienza; Identità; Individuo umano; Interpretare; Io; Isolamento; Potenza. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 5; parte terza, cap. 1°, par. 2; S.C.d.I., cap. VI, par. 5; cap. IX).