DEL TRAGICO AMORE: pag. 270
Nonostante il
prevalere dell’erranza del dolore (cioè dell’erranza in cui consiste ogni
essente in quanto distinto dagli
altri), il passaggio che si fa innanzi con la morte (con ogni morte, prima del Passaggio) è come (usando una metafora) un
«prender fiato», «una boccata d’ossigeno» dopo la (breve o lunga) avventura «in
apnea» della vita appena morta; un prender fiato che, però, non si prolunga
all’infinito, ma è necessariamente seguito dalla vita successiva, e quindi,
dopo quel respiro liberatorio, ci si immerge nuovamente negli abissi della vita
avvolta dal dolore (abissi e labirinti in cui ci si trova inevitabilmente ed
eternamente durante tutto il corso limitato della luce tenebrosa dell’eterna
Prima Volta – quest’ultima essendo l’attesa di quell’atteso che è il finito
Ritorno splendente degli eterni che, nella Prima Volta, rimangono avvolti dal
peso angosciante che il prevalere della contraddizione porta con sé).
DEL TRAGICO AMORE: pagg. 280-281
Ansia, paura, angoscia, trepidazione, concitazione, angustia: è
questo ciò che prevale compiendo i primi passi, nell’eternità della vita
dell’Inizio, della seconda vita e di alcune altre, prima che l’oblio del
passato, crescendo, incominci a farsi sentire con una certa determinata forza,
consistenza. Quando, nelle prime esperienze (vita dell’Inizio, seconda vita,
etc.), l’estensione del passato è ridotta al minimo, cresce la preoccupazione
per ciò che verrà, dovuta allo stato confusionale e di spazio alquanto limitato
che rendono l’io vulnerabile e colmo di apprensione e turbamento. Crescendo,
l’Io infinito, nonostante il prevalere del finito, acquisisce sempre maggiore
padronanza dei propri mezzi, più sicurezza e predisposizione in vista di ciò
che, illudendosi, crede di poter «costruire», «produrre»; e tuttavia, proprio
per l’accrescimento del passato (benché sia per lo più dimenticato), aumenta la
nostalgia, il pentimento, il rammarico, il cordoglio, la depressione, la
tristezza, la malinconia, la disperazione, il malumore. (Cfr. Glossario,
«Dolore»).
DEL TRAGICO AMORE: pag. 350
La felicità intesa come «assenza di dolore» è un’illusione,
proprio perché il «dolore» è la medesima «assenza»: ci manca, in un certo tempo, quel che pur ci è presente, in un
cert’altro tempo – e pertanto soffriamo;
tuttavia, ogni essente è presente, nonostante lo sia, appunto,
nel modo in cui esso è (parzialmente) mancante (e cioè parzialmente presente) –
e questa presenza totale è il nostro stesso gioire,
cioè amare quel che necessariamente
siamo (nella tragicità che accompagna le nostre esperienze).