Come ripeto spesso,
il desiderio più coerente rispetto al
destino è quello di attendere ciò
che, appunto, è desti-nato ad affiorare nel futuro (e di accettare tutto ciò che è sopraggiunto in passato e che si affaccia
in ogni istante del presente). Poiché il destino di tutti gli eventi è già da
sempre ultimato, è un’incoerenza sia
il desiderio di morire non sapendo quando la morte busserà alla propria porta, sia il desiderio di vivere non sapendo
per quanto tempo tale vita potrà prolungarsi.
Se non si conosce il destino, ad esempio,
di una certa vita e della sua relativa morte, la coscienza di tale vita è coerente, rispetto al destino che essa
non conosce, se desidera rimanere in
attesa che, appunto, incominci a brillare il proprio destino futuro, sia
quello di una eventuale continuazione di tale vita, sia quello di una possibile
morte imminente. Se, nello sguardo del destino, quella morte è imminente, la
coscienza di tale vita è incoerente
se desidera continuare a vivere ancora a lungo. Oppure, se in quello sguardo si
mostra che quella vita è assegnata ad un ampio prolungamento di sé stessa, la
coscienza di tale vita, anche qui, è incoerente
se desidera morire il prima possibile. Se, invece, la coscienza di quella vita conosce il proprio destino – supponendo
che la sua morte sia imminente –, è coerente
se non desidera prolungare ulteriormente la propria vita, in attesa di desiderare,
da un momento all’altro, la propria morte.
Vivere
significa esser consapevoli che tutte
le esperienze sono eterne. Vivere non è sopravvivere. Non si può sopravvivere, e non si può nemmeno «morire» nel senso di
un assoluto finire di esistere, cioè di un finire nel nulla. Ci si illude,
cioè, di dover e poter sopravvivere, allungando ancora per un po’ la propria effimera
vita (quella che si crede, appunto,
che sia effimera). Ma la nostra vera
vita non è effimera, è un’immensità
sempreviva, che mai ha incominciato ad essere, poiché splende sin dall’eternità
e per sempre.
[...]
In altre parole,
essendo comunque un illudersi la
volontà di sopravvivere (poiché la vita non
è affatto sopravvivenza), se è destino che una certa vita si concluda in un
certo momento, è un’incoerenza
desiderare di vivere (non di «sopravvivere») quella certa vita
dopo quel momento conclusivo, ed è
un’incoerenza anche desiderare che quella certa vita si concluda (nel senso autentico della morte) prima di quello stesso momento. Se
si conosce quel destino, è cioè coerente
voler vivere fino a quel momento. Se invece non
lo si conosce, è coerente restare in
attesa di ciò che è comunque destinato a lampeggiare nella luce, ed è
quindi coerente non voler né vivere ancora per un po’ né morire subito (o comunque in momenti
successivi diversi da quello assegnato dal destino) – a meno che con «volontà
di vivere» non si intenda appunto la volontà di quell’attesa.