giovedì 9 marzo 2017

Estratto di "Silenzi e respiri del destino"



Come ripeto spesso, il desiderio più coerente rispetto al destino è quello di attendere ciò che, appunto, è desti-nato ad affiorare nel futuro (e di accettare tutto ciò che è sopraggiunto in passato e che si affaccia in ogni istante del presente). Poiché il destino di tutti gli eventi è già da sempre ultimato, è un’incoerenza sia il desiderio di morire non sapendo quando la morte busserà alla propria porta, sia il desiderio di vivere non sapendo per quanto tempo tale vita potrà prolungarsi.
Se non si conosce il destino, ad esempio, di una certa vita e della sua relativa morte, la coscienza di tale vita è coerente, rispetto al destino che essa non conosce, se desidera rimanere in attesa che, appunto, incominci a brillare il proprio destino futuro, sia quello di una eventuale continuazione di tale vita, sia quello di una possibile morte imminente. Se, nello sguardo del destino, quella morte è imminente, la coscienza di tale vita è incoerente se desidera continuare a vivere ancora a lungo. Oppure, se in quello sguardo si mostra che quella vita è assegnata ad un ampio prolungamento di sé stessa, la coscienza di tale vita, anche qui, è incoerente se desidera morire il prima possibile. Se, invece, la coscienza di quella vita conosce il proprio destino – supponendo che la sua morte sia imminente –, è coerente se non desidera prolungare ulteriormente la propria vita, in attesa di desiderare, da un momento all’altro, la propria morte.
 Vivere significa esser consapevoli che tutte le esperienze sono eterne. Vivere non è sopravvivere. Non si può sopravvivere, e non si può nemmeno «morire» nel senso di un assoluto finire di esistere, cioè di un finire nel nulla. Ci si illude, cioè, di dover e poter sopravvivere, allungando ancora per un po’ la propria effimera vita (quella che si crede, appunto, che sia effimera). Ma la nostra vera vita non è effimera, è un’immensità sempreviva, che mai ha incominciato ad essere, poiché splende sin dall’eternità e per sempre.

[...]

In altre parole, essendo comunque un illudersi la volontà di sopravvivere (poiché la vita non è affatto sopravvivenza), se è destino che una certa vita si concluda in un certo momento, è un’incoerenza desiderare di vivere (non di «sopravvivere») quella certa vita dopo quel momento conclusivo, ed è un’incoerenza anche desiderare che quella certa vita si concluda (nel senso autentico della morte) prima di quello stesso momento. Se si conosce quel destino, è cioè coerente voler vivere fino a quel momento. Se invece non lo si conosce, è coerente restare in attesa di ciò che è comunque destinato a lampeggiare nella luce, ed è quindi coerente non voler vivere ancora per un po’ morire subito (o comunque in momenti successivi diversi da quello assegnato dal destino) – a meno che con «volontà di vivere» non si intenda appunto la volontà di quell’attesa.