venerdì 23 marzo 2018

Lo Sguardo infinito e il senso del "futuro"




Destinato ad accorgersi del suo splendore eterno, lo Sguardo infinito dell'essere è destinato a rendersi conto, "in carne ed ossa", di essere tutto ciò che, già in passato e per sempre, è destino che veda (alberi, tramonti, sfumature di colore, fruscìo del vento, un individuo umano, un fiore, una galassia, ecc.). Lo Sguardo, cioè, vedendo tutto ciò che vede, vede lo Sguardo stesso e cioè anche sé stesso in quanto "guardato" o "riflesso" nel proprio Specchio di colori in cui esso consiste già dall'eternità. Noi siamo da sempre, anche ora, l'UNICO Sguardo che contempla lo spettacolo eterno di sé stesso, seppur in modo (eternamente) diacronico. Tutto è quindi già da sempre accaduto, accade sempre, una volta sola, nel modo opportuno. <<Andare verso>> il futuro significa andare verso ciò che già da sempre è vissuto, giacché l'<<andare verso>>, essendo anch'esso già da sempre vissuto (come ogni evento), è tuttavia l'illudersi di andare verso ciò che, in qualche modo, debba ancora realizzarsi.

domenica 18 marzo 2018

Contraddizione dell'infinità numerica: le parti del Tutto sono di numero finito



Appaiono sempre essenti distinti gli uni dagli altri, ed appaiono necessariamente di numero FINITO. Perché? perché per apparire di numero INFINITO dovrebbe apparire CIO' SENZA DI CUI la numerabilità è nulla, che nel caso appunto di un'infinità siffatta non può apparire. Cosa è, appunto, questo <<ciò senza di cui>> (o <<ciò per cui>>)? E' la distinzione, appunto, ovvero i distinti (giacché se fossero infiniti non apparirebbero affatto) Si afferma che un distinto NON è l'altro, appunto perché APPARE. E poiché l'essere è apparire (coscienza), e poiché, ancora, un'infinità di distinti NON PUO' apparire, ciò significa che i distinti sono necessariamente di numero finito, altrimenti l'essere (l'apparire) sarebbe autocontraddittorio, e cioè mostrerebbe ciò che, in realtà, non può mostrare ( = non può essere). D'altronde, poiché il Tutto è GIA DA SEMPRE COMPIUTO (eterno), non potrebbe esserlo se includesse in sé una serie infinita di modi del suo apparire, perché, così facendo, non si farebbe altro che rinviare all'infinito l'essenza della struttura totale dell'essere. Sono sempre e solo essenti numericamente finiti ad apparire. Il fatto di non riuscire ancora a decifrarli TUTTI, non significa che sarà per sempre così e che, nel profondo, il Tutto non conosca tutte le proprie numerabili determinazioni. Anzi è destino che si vada verso il prevalere della coscienza di TUTTE le finite determinazioni.
<<Numero infinito>> è un'autocontraddizione. Significa <<numero senza numero>>. Il <<numero>> è, per definizione, il finito stesso, cioè il distinto. Un <<numero infinito>> di parti è contraddittorio che appaia (infatti non appare e mai potrà apparire), perché dovrebbe apparire un <<numero senza numero>> di parti.
<<Numero infinito>> di parti vuol dire, cioè, che appare una serie di parti che, poiché sono di numero infinito cioè non numerabile cioè un numero non-numero, non possono apparire, appunto perché la loro distinzione è impossibile, ed è impossibile perché è autocontraddittoria. L'infinità numerica contraddice la numerabilità cioè la distinzione.

Breve sintesi del mio discorso. Un cenno




Poiché siamo il Tutto, ovvero la Coscienza totale degli eventi (passati e futuri e di ogni tempo possibile), è proprio e soltanto Essa a esperire, vivere in carne ed ossa tutte le "vite" (la mia, la tua, degli animali, dei vegetali, di una galassia e qualsivoglia forma coscienziale individuabile). Se non si entra nell'ottica di essere lo Stesso, cioè quella Coscienza, cioè lo Specchio che, specchiandosi in diverse prospettive, osserva sé stesso, questo mio discorso non può essere capito con verità. Esso vede sé stesso in tutto ciò che vede, e non può che vedere sé stesso, perché non esiste nient'altro che la sua Coscienza. Tutte le vite vissute consistono in Lui stesso.
Se ad es., ora, un certo individuo umano dice di non essere il Tutto cosciente, tale individuo è in verità il Tutto stesso che, prevalentemente, si illude di non esserlo e di essere SOLTANTO un individuo umano. E' lo stesso Specchio di luce che, riflettendosi in tutti i suoi colori (parti, prospettive, vite diverse), si illude di essere soltanto uno di essi e non gli altri. Getta nell'oblio le vite passate, credendo di vedere <<vite altrui>> che non abbiano nulla a che vedere con Lui. E si illude. Non è ancora in grado di annunciare le sue vite future, e si illude quindi che il futuro dell'Universo non consista in Lui. Tutto è Lui, Lui è Tutto. Non c'è nulla che non consista in Lui. E tuttavia Lui stesso non si riconosce in tutto ciò che esperisce. Ma si va verso un tempo (ancora molto lontano nel futuro) in cui la Coscienza si avvede di sé stessa, <<sente>> TUTTA la propria consistenza <<corporea>> (<<materiale>>, <<finita>>, <<individuata>>), giacché, in quel tempo, essa non è sovrastata più dalla propria illusione intorno a sé stessa, pur continuando (l'illusione) ad esser presente (ma, appunto, come non più prevalente).

Prima della nascita di ogni individuo umano appaiono quelle vite, dunque, che, ora, vivendo la vita attuale, ci illudiamo siano semplicemente <<altro>> rispetto a noi. E dopo la morte appaiono quelle altre vite che, relativamente anche ad esse, ci illudiamo, ora, che siano semplicemente <<altro>> da noi cioè dalla vita attuale che stiamo vivendo. Ciò significa che le vite diverse (la mia, la tua, ecc.) si trovano tutte sulla stessa linea o retta (finita) dell'infinita Coscienza, ed è proprio per questo che, essa, può esperirle tutte, seppur in modo diacronico, una dopo l'altra. Le vite non sono cioè "parallele" le une rispetto alle altre, non sono rette diverse che non si incontreranno mai, bensì, ripeto, sono serie finite di punti (o istanti) DI UNA STESSA LINEA. La <<linea>>, tuttavia, non deve essere astrattamente intesa, ma deve essere intesa come <<il modo finitamente circolare>> in cui il Cerchio assoluto della Coscienza contempla sé stesso, vita dopo vita, appunto. Ed è proprio per questo che, ad un certo punto del percorso (di quella linea circolare), la Coscienza si accorge di sé stessa, decifrando esaustivamente tutti i segni che, ri-percorrendo e cioè ri-vivendo le stesse vite già vissute, appaiono in esse. Siamo destinati, pertanto, a rivivere queste stesse vite (e tutte le altre che, ora, non crediamo nemmeno di essere), proprio in carne ed ossa e tuttavia in una visione più ampia di Noi stessi, cioè nella visione in cui la Coscienza prende spicco nel bagliore di sé stessa. E' la Coscienza assoluta, dunque, a incarnarsi e reincarnarsi continuamente in tutte le possibili vite, cioè in tutte le SUE individuazioni eterne.

Tutto ciò accade SEMPRE. E' questo ad apparire da sempre e per sempre. Il futuro non è qualcosa che non sia ancora accaduto. E' il percorso stesso della Coscienza ad essere SEMPRE in luce, nel modo stesso in cui, appunto, i suoi istanti (o punti) brillano l'uno rispetto all'altro. Andando verso il futuro, si procede verso le esperienze che, in sé, sono già vissute da sempre, fermamente. Tutto ciò che è passato è rimasto integralmente in sé stesso, così come l'abbiamo conosciuto e obliato (in gran parte), ed è assegnato a riaffiorare in concreto quando la Coscienza giunge nel proprio accorgimento di essere l'eternità di sé stessa cioè di Tutto.
Tutto ciò di cui sto parlando è qui presente, in ciò che ognuno vede. Non ce se ne accorge, per lo più, perché a prevalere è appunto il linguaggio (nel suo senso più ampio, cioè come lo stesso MODO FINITO in cui la Coscienza si specchia). Il linguaggio vuol di-mostrare ciò, la Coscienza, che è già in piena luce, qui davanti a noi (siamo noi ad essere la Coscienza che vede sé stessa ovunque qualcosa appaia). E lo vuole di-mostrare perché, appunto, la Coscienza NON prende spicco in sé stessa, pur illuminandosi. Nel (futuro) prevalere della Coscienza, invece, il linguaggio non prevale, appunto perché, esso, non ha più bisogno di di-mostrare ciò che, prevalendo nella Luce, è appunto in Luce (come lo era prima senza accorgersene).

Inoltre, preciso che con la morte di un individuo, si fa innanzi un passaggio (all'altra vita) in cui appaiono due istanti, uno dopo l'altro. Il primo raccoglie in sé tutto ciò che la vita appena morta ha vissuto temporalmente, mentre il secondo raccoglie in sé tutto ciò che la vita successiva vivrà temporalmente. Cominciando poi a vivere la vita seguente, la Coscienza ritorna <<in apnea>>, cioè rigetta nella dimenticanza la morte precedente e quindi la stessa vita vissuta in passato (e quindi tutte le altre ancora più lontane nel passato). La morte è pertanto un <<prender fiato>>, una <<boccata d'ossigeno>>, un <<sospiro di sollievo>>. Ma dura due istanti.

Nel prevalere della Coscienza, invece, l'oblio delle vite passate e l'imprevedibilità di quelle future non prevalgono più, perché a prevalere è la rimembranza concreta, in carne ed ossa, di tutto il passato e l'annuncio concreto di tutto il futuro, fino all'ultimo futuro che, una volta cominciato a prevalere, non cessa più di prevalere.