Siamo ancora
talmente poco evoluti che, per lo più, ci illudiamo di dover semplicemente
competere e farci largo tra gli altri eventi naturali – animali, vegetali, ecc.
– affinché si prolunghi la breve ed effimera vita che crediamo di vivere.
Quando ci renderemo conto, in carne ed ossa, di essere già da sempre la vita infinita del destino, ci accorgeremo che
nulla è «effimero» e che amare ossia contemplare fino in fondo il
mondo animale, vegetale, minerale, ecc., è desiderare il Bene di ognuno di noi
e dell’intero Universo, al di là di ogni pur necessaria prigionia che la
corporeità comporta – il corpo, cioè la materia ossia la distinzione tra ogni coscienza o evento, essendo appunto il carcere
o labirinto finito in cui la coscienza infinita inevitabilmente tende a
perdersi. (Pag. 81).
Chi dice di non
amare più qualcuno non si avvede che se l’Amore splende al centro di tutto è impossibile che esso venga successivamente spinto ai margini.
Quindi chi dice di non amare più qualcuno, sta dicendo in realtà di non averlo
mai amato, nel senso che in quel rapporto specifico non brillava l’Amore, bensì
ci si illudeva di amare con verità.
Può affiorare la presa di coscienza sempre più ampia e colorata di amare
qualcuno che si credeva di non amare, e quando ciò accadesse questo Amore non
potrebbe più svanire. Ma è impossibile rendersi conto di non amare più.
In altre parole, ci
si può accorgere di non aver amato veramente qualcuno di quell’amore che si
credeva fosse vero amore e che invece non lo era, e quindi, scoprendo il vero
senso dell’Amore, accorgersi di amarlo da
sempre, ma non ci si può avvedere,
secondo il senso autentico dell’Amore, di non amare più, appunto perché è impossibile
non amare più, ci si può soltanto non accorgere di amare già da sempre e quindi
accorgersi di amare veramente ciò che si credeva illusoriamente di amare o di
non amare. Anche negli eventi più terribili si nasconde lo sguardo del vero
Amore, uno sguardo che si mantiene nell’ombra appunto perché tale orrore prende
spicco appiattendo l’Amore che pur appare. (Pag. 104-105).
Si ama in silenzio,
nel Silenzio del destino. Il bisogno di
dire l’Amore è sempre relativo al modo in cui ci si illude di non essere
l’amato. Se ci si accorgesse di contemplare sé stessi nell’amato, non ci
sarebbe bisogno di comunicare all’amato il proprio amarlo (nel senso che tale
bisogno resterebbe sovrastato
rispetto a quell’accorgersi).
Poiché cioè non brilla, in ognuno di noi, il proprio esperire concretamente (totalmente, in carne ed ossa e nei modi opportuni)
la totalità della coscienza cioè dell’esperienza altrui, si sente il bisogno di far
presente all’amato il proprio amarlo. Quando a brillare sarà invece quel
concreto esperire, brillerà un unico
legame, quello che unisce tutte le
coscienze, giacché tale legame non ha bisogno di dire a sé stesso di amarsi, nel senso appunto che ogni bisogno, da parte
dell’amante, di dire all’amato di amarlo, sarà qualcosa, nel brillare di quel
legame, che soltanto nel passato può
brillare – sì che la rimembranza esaustiva dell’Amore passato è condizione necessaria affinché si provi l’Amore attuale e futuro. Ascoltare il Silenzio
è ciò a cui tutti siamo destinati, e, d’altra parte, non esiste cosa peggiore
che voler spingere una persona silenziosa a parlare. (Pag. 107-108).