lunedì 23 maggio 2016

Filosofia come Scienza Tecnologica e come coscienza della verità



Al contrario di quanto sostiene Severino, la (parziale) positività della parola pubblica (che cioè intende esplicitamente designare l'autentica verità dell'infinito) e quindi (anche, insieme soprattutto a Hegel) la mia parola (il mio linguaggio in quanto parola) sono un aiuto concreto agli altri strumenti di linguaggio, come ad esempio quello strumento di linguaggio in cui consiste l' "esperimento" tecnico-scientifico. 
La Scienza (= Filosofia) Tecnologica (cioè la Scienza come volontà di testimoniare l'intero della verità e pertanto anche come mia volontà di testimoniarla), avvolta dalla Scienza (= Filosofia) autentica (cioè dalla Scienza in quanto sapienza, coscienza stessa del Tutto, cioè in quanto cosa stessa indicata dal linguaggio in quanto tale), non è un passo indietro o un ostacolo alla meditazione o contemplazione finita o dimostrazione logico-analitico-linguistica del "saggio" (del "filosofo" nel senso tradizionale del termine), bensì è l'insieme di tutti quegli strumenti di linguaggio (tra cui tale dimostrazione e lo stesso esperimento tecnico-scientifico) i quali, con la potenza della parola pubblica, vanno ad esplicare dettagliatamente e con delucidazioni di tipo pleonastico i concreti passi in avanti che con quegli esperimenti (nel campo della Fisica, della Chimica, della Biologia, della Psicologia, ecc.) vengono compiuti dalla stessa volontà di richiamare e indicare il vero. In altre parole, il mio linguaggio è un modo di spiegare con la parola ciò che la Scienza Tecnologica (che include anche questo mio linguaggio) è assegnata a scoprire con altri mezzi, con altri tipi di linguaggio, con gli esperimenti in laboratorio o in altri campi di osservazione, con sofisticati tecnicismi e quindi con eventuali future "macchine del tempo" (per riuscire a sogguardare in altri modi ciò che già col ragionamento e con le parole si riesce a tracciare e denotare).
D'altro canto, non è ancora questo il tempo del prevalere della volontà pubblica di designare la verità innegabile dell'infinito, e infatti anche la mia parola rimane ancora per lo più appiattita e spinta ai margini, rispetto alla centralità delle scienze "ufficiali" (le quali, sebbene siano notevoli i passi innanzi della Fisica Quantistica seppur accompagnati da parole pesantemente inadeguate ad esprimerli e comprenderli fino in fondo, si fondano ancora sulla volontà privata di allontanarsi dalla verità autentica). Quando verrà il tempo del prevalere della volontà pubblica di rivolgersi al vero, quello sarà il momento in cui sia la parola che gli "esperimenti" (e ogni altro tipo di linguaggio della Scienza Tecnologica) cominceranno a prendere spicco, rispettivamente, come vera parola e come veri esperimenti, e cioè come esperimenti e parole pubblici, e pertanto ogni "prova tecnico-scientifica" verrà continuamente adeguata, spiegata e interpretata in relazione all'autentica parola testimoniante il vero.
Tuttavia, resta fermo che ogni volontà di agire e quindi la stessa volontà di testimoniare la verità (con la parola e con ogni altro strumento di linguaggio) si fonda sulla medesima verità indicata (cioè sulla Filosofia o Scienza autentica, ossia non Tecnologica), e non viceversa. Ciò significa che ogni "teoria" (come ad es. il principio di Archimede relativo al galleggiamento di un corpo) fondata su esperimenti tecnico-scientifici o comunque "atti pratici" (o "esperienze personali o di gruppo") che non siano a loro volta adeguati all'autentica parola pubblica fondata sulla verità da essa stessa indicata, ogni "teoria" siffatta non può essere altro che un inganno, un abbaglio, un errore, una concezione sbagliata del reale. Tanto è vero che l'autentica crescita spirituale dell'infinito che in modo finito appare è un'intensificazione sempre maggiore del modo in cui, appunto, è l'infinito stesso a illuminarsi, non semplicemente la volontà di volgere lo sguardo finito verso di esso (il modo in cui tale volontà appare andando infatti diminuendo di intensità, poiché, quando a prevalere sarà l'infinito stesso nella sua compiutezza eterna, ci sarà sempre meno bisogno di testimoniarlo: ci renderemo sempre più conto, difatti, che siamo proprio noi ad essere l'infinito, il bisogno di testimoniarlo essendo prevalentemente in luce quando l'infinito rimane per lo più nell'ombra, nell'inconscio di ogni finito).